The Prince And The King Of The Ruined Kingdom

Jean Kirshtein x Marco Bodt, Shingeki No Kyoijin (L'Attacco dei Giganti)

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  1. giorgiette97
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    Trama:
    Jean Kirshtein è il figlio di un proprietario terriero. Abita in un paesetto campagnolo, al confine del regno di Jinae, denominato Trost. Arrogante e dalla personalità scostante, odia con tutto sé stesso i nobili. Come reagirà quindi, il ragazzo, quando verrà salvato proprio da uno di loro?


    Raiting: Rosso
    Tipo di Coppia: Yaoi, Slash
    Coppia: Jean Kirshtein x Marco Bodt (JeanMarco)
    Genere: Guerra, Romantico, Storico
    Stato: In Corso
    Note: AU (Alternative Universe)
    Avvertimenti: Tematiche Delicate, Violenza


    The Prince And The Knight Of The Ruined Kingdom


    Chapter One: The Foreigner

    Lo Straniero


    Il sole splendeva alto e forte nel cielo azzurro sopra il Regno di Jinae. In una cittadina nell'aperta campagna, denominata Trost, al confine con l'altro Regno, la vita scorreva tranquillamente.
    Quando arrivò l'alba i contadini si levarono dai loro letti e uscirono di casa per dirigersi verso i campi, i mugnai attaccarono le bestie alla macina nei loro mulini, mentre i fornai misero a cuocere nei forni il pane e prepararono l'impasto per il giorno seguente.
    Qualche ora dopo, nella prateria confinante con i campi, un giovane ragazzo montava un bel cavallo baio, dal muso allungato e dai grandi occhi dolci. Invece di usare le redini, teneva la sua nera criniera fra i pugni stretti, mentre s'aggrappava al dorso dell'animale aiutato dalla piccola sella di cuoio marrone. Spronava il cavallo a dare il meglio di sé, incitandolo a lanciarsi in lunghe galoppate ad alta velocità, sprezzante del pericolo. In perfetta armonia con il corpo dell'animale, si piegava leggermente quando voleva che girasse, e lo frenava con un gesto o con un suono della voce quando voleva che esso rallentasse o cambiasse ritmo. Il baio seguiva gli ordini senza fare ritrosie di sorta, poiché fin da piccolo era stato addestrato al contatto umano; il merito però non era solo dell'addestratore, bensì anche del cavallo che possedeva un carattere paziente e coraggioso e non temeva che gli umani potessero nuocergli. Arrivati al limitare del bosco, il ragazzo smontò dal suo destriero, gli diede un pezzettino di carota e gli accarezzò il muso gentilmente prima di legarlo al ramo di un albero con la corda attaccata alla sella per andare ad abbeverarsi nel fiume lì vicino.
    Prese la borraccia attaccata alla bardatura e si avviò all'interno della foresta. Le fronde degli alberi avrebbero messo in ombra il corpo del cavallo, mettendolo al riparo dal sole cocente mentre recuperava le forze dopo la lunga cavalcata. Dopo aver camminato per due minuti, si ritrovò difronte il piccolo fiume che scorreva tranquillamente in mezzo agli antichi alberi sempreverdi dai grossi tronchi ricoperti di muschio verde. Si avvicinò al margine, attento a non scivolare sull'argine pietroso, bagnato dall'acqua e contornato di piante acquatiche; si chinò lentamente e avvicinò l'apertura della fiasca scura al fiume e la riempì. Soddisfatto di sé stesso, si erse in tutto il suo metro e settantacinque centimetri e tornò indietro.
    Il baio, legato all'albero, lo osservava con grandi occhi spaventati, mentre le orecchie, solitamente ferme e rilassate, erano alzate e in movimento; il cavallo continuava a battere lo zoccolo a terra, insolitamente e visibilmente nervoso, così il ragazzo gli si avvicinò, lo rassicurò con gentili pacche sul collo muscoloso per assicurarsi che non scappasse, e lo slegò per poi montargli in groppa. Si era appena accorto di avere un piede legato alla staffa della sella quando degli ululati si levarono e il cavallo partì in quarta, trasportandolo sulla sua groppa nella sua fuga selvaggia, pieno di spavento. Il ragazzo si aggrappò malamente alla criniera del destriero terrorizzato, accorgendosi però, che a poco a poco, con suo sommo orrore, stava perdendo la presa e la posizione sulla sella, visto che non si era ancora del tutto stabilizzato su di essa quando il baio era partito.
    Il cavallo si lanciò in una corsa sfrenata in mezzo ai campi, finché non arrivò sulla via principale. Con la coda dell'occhio, il ragazzo poté vedere cinque uomini a cavallo che stavano attraversando la via e che lo guardarono incerti. Nel momento in cui stava per perdere la presa, ormai nel panico più totale e senza più idee né risorse per far calmare il baio impazzito, chiuse gli occhi e si arrese al destino che considerava inevitabile, quando una mano lo spinse leggermente, cercando di rimetterlo in sella. Il ragazzo sentì lo scalpiccio degli zoccoli vicino a lui e aprì gli occhi, vedendo un cavallo sauro, dal manto del colore dello zenzero, che correva accanto al suo portando sulla sua groppa un uomo. Si drizzò all'improvviso approfittando della forza della spinta che l'uomo gli aveva dato e riuscì ad aggrapparsi alla criniera del cavallo fermamente, mentre con il piede libero cercava di frenare la sua corsa. Dopo qualche metro, riuscì a calmarlo e a farlo rallentare, finché non si arrestò del tutto, fermandosi in un prato dalle alte erbacce, ansante. Il ragazzo gli accarezzò il collo, affannato e bianco in volto, per poi alzare lo sguardo in cerca di quello dell'uomo che, dopo averlo osservato meglio, s'accorse essere un ragazzo giovane, suo coetaneo.
    Il giovane cavalcava un sauro dalle lunghe zampe, dai zoccoli ben curati e dal fisico asciutto, tipico di uno stallone ben tenuto e adatto alle battaglie. Era il caratteristico destriero di un mercenario, di un cavaliere, ma il ragazzo, osservando il giovane seduto in sella, escluse quella possibilità; egli, infatti, indossava un lungo mantello nero, visibilmente nuovo e non adatto ai popolani, ed era la stessa cosa per i suoi vestiti – delle stesse tonalità – che per i suoi stivali marroni, eppure non portava una spada, né un coltello, né tantomeno un fioretto o una sciabola al suo fianco. Il suo aspetto era in tutto e per tutto quello di un Nobile.
    Il ragazzo osservò superficialmente il tutto, per poi sorridere arrogantemente all'altro che sembrò interdetto da quella reazione inusuale, poiché, invece di quel sorriso insolente, si era probabilmente aspettato un ringraziamento da parte dell'altro che però non arrivò. Il ragazzo, con occhi di un nocciola così chiaro da sembrare dorati, osservò il giovane più attentamente, studiandolo. Dalle spalle larghe e dalle gambe lunghe riuscì a stabilirne l'altezza, circa un metro e ottanta centimetri, esaminò con occhio critico il volto, largo ma dai lineamenti fini, e la pelle scura costellata di lentiggini. I capelli neri come gli occhi e la bocca carnosa gli davano un'aria pacata che non sopportò, e quando vide che l'altro lo stava studiando, prestando probabilmente attenzione ai suoi capelli color della stoppa e al suo viso allungato, si irritò.
    “Il mio nome è Marco Tob”, disse il giovane accompagnando la frase con un sorriso gentile.
    “Tob?”, chiese il ragazzo, diffidente. Non aveva mai sentito di nessun Tob, nemmeno fra i Nobili, ma lui che ne poteva sapere? A differenza di molti, aveva avuto la possibilità di studiare, ma i libri, così pesanti e ingialliti, non gli erano mai piaciuti molto; quindi era fattibile che non avesse idea di chi fossero i Tob, soprattutto se si consideravava il numero di famiglie nobili presenti a Jinae.
    “È una famiglia nobile la mia ma, a onor del vero, di nobile ci è rimasto solo il titolo”, spiegò Marco, masticando le parole come se non fosse abituato a parlar in quel modo, così informale. In effetti non era molto differente dalla parlata di un popolano o di un signorotto di campagna, notò il ragazzo.
    “E l'arroganza”, rispose l'altro, osservandolo con stizza. Lui con i Nobili non voleva averci niente a che fare.
    “Quella è l'aria per noi Nobili, che ci vuoi fare?”, ribatté Marco con ironia, gli occhi neri che luccicavano ferini. Il ragazzo non rispose, corrugò le sopracciglia e si chiuse in un ostinato silenzio.
    “Qual è il tuo, di nome?", insistette Marco.
    “Jean Kirshtein.” rispose il ragazzo, lanciando all'altro un'occhiata di sufficienza, la cui replica fu un sorriso aperto, quasi di sfida. Jean si chiese se lo facesse apposta ed ebbe la sua risposta quando Marco disse: “E' un piacere conoscerti, Jean.”
    “Non mi sembra di averti dato tutta questa confidenza.”, borbottò il ragazzo, infastidito dall'arroganza che, secondo lui, aveva dimostrato l'altro.
    “Allora me la prenderò da solo con piacere.”, ribatté il ragazzo con dolcezza. “Posso chiederti chi è il maggior proprietario terriero di Trost, perché è da lì che vieni, vero?”, gli chiese.
    “Si da il caso che sia mio Padre.”, rispose Jean, tutt'altro che felice. Quella domanda aveva posto un grosso dubbio in lui e le probabili conseguenze gli apparvero tutt'altro che gradevoli. Sperò che le sue supposizioni non avessero capo né coda, ma ci rinunciò quando l'altro si illuminò in volto.
    “Portami da lui”, disse, quasi fosse un ordine. Jean si raddrizzò e lo fulminò con lo sguardo, ma non parlò, poiché aveva deciso che quello straniero proprio non gli piaceva. Il ragazzo non sembrò preoccupato, piuttosto lo fissò negli occhi, aspettando ed esortandolo a fare qualcosa.
    Jean sospirò, cercando di calmare la rabbia che gli bruciava nel petto. Fece girare il suo baio e con un'alzata di spalle invitò lo straniero a seguirlo.


    Per tutta la strada lo straniero, seguito dagli altri quattro uomini, tre in armatura e uno avvolto in eleganti vestiti e con un'espressione di fastidio dipinta sul volto, probabilmente le sue guardie e il suo precettore, non lo lasciò in pace un secondo, sommergendolo di domande e di osservazioni. Jean fu tentato di urlargli contro insulti ma, testardo com'era, rimase in silenzio, sopportando a denti stretti o borbottando fra sé, nella sua mente, quanto quel ragazzo dall'aria ingenua fosse irritante. Quegli occhi neri e quelle sopracciglia folte leggermente alzate su quel volto pulito, lo irritavano profondamente; non poteva non carpirne la forte volontà e la sete di conoscenza, oltre a quella brillantezza negli occhi, tipica di un individuo dalla grande intelligenza.
    Il sole iniziò a tramontare, creando nel cielo grosse sfumature rosa e violacee, mentre le nuvole si tingevano di colori rossicci. I raggi rossi inondavano di luce la strada principale fatta di ghiaia rossastra, disegnando le ombre del gruppo sul terreno. Jean osservò in silenzio il grande cerchio rosso che sembrava stesse per entrare in collisione con la terra, rapito dallo spettacolo di luci che creava e dall'intenso colore del sole. Ad un certo punto, Marco si lasciò scappare un verso di esclamazione, spaventando l'altro che sobbalzò un poco.
    “Che ti prende?”, gli domandò irritato.
    “Scusa”, rispose l'altro arrossendo leggermente esibendo successivamente un sorriso spontaneo, “Sono rimasto incantato dal tramonto, tutto qui.”
    L'irritazione di Jean svanì, così lasciò perdere e puntò lo sguardo davanti a sé, vedendo le prime case del villaggio di Trost. Poco più avanti, prima dell'entrata, una piccola stradina, annessa a quella principale, saliva su una collina su cui, alla cima, c'era una grossa prateria e una grande casa, la sua.
    “Dobbiamo risalire la stradina, non ci metteremo molto.”, li informò. “Sarebbe più veloce farla al galoppo.”, disse, e spronò il suo baio.
    Marco lo imitò, e il sauro affianco il suo cavallo per tutta la salita. Un sorriso dell'altro, verso la fine, gli fece prendere la decisione di incitare ancor di più il suo cavallo. Il baio, sentendo il volere e il comando del suo cavaliere, lo accontentò e accelerò il ritmo. Jean arrivò per primo sulla collina, ma subito dopo il sauro di Marco lo raggiunse e il ragazzo lo guardò e gli sorrise, come se di quella gara non gli fosse importato poi molto. E forse era davvero così.
    Non mi piace, pensò Jean, osservando i modi pacati ma autoritari dello straniero. Se c'era una cosa che odiava era prendere, per l'appunto, ordini e quel ragazzo sembrava propenso a darne.
    Un uomo alto, di circa quarantacinque anni, dai baffi e dai capelli marroni spruzzati di grigio, dal volto mascolino e magro e dagli occhi marroni si avvicinò al figlio e lo guardò con una tacita domanda a cui Jean rispose alzando le spalle.
    “Padre”, lo salutò semplicemente Jean.
    “Bentornato, figliolo.”, fu la risposta dell'uomo.
    Marco scese dal suo sauro, subito imitato dal suo seguito, e si avvicinò all'uomo.
    “Signore, il mio nome è Marco Tob e vorrei chiederle ospitalità.”, disse con tono rispettoso, ma con un sottinteso ordine. “Qui”, affermò, porgendo all'uomo una pergamena, “c'è la raccomandazione del Responsabile della Contea, il Nobile Bossard.”
    Il padre di Jean afferrò la pergamena, la lesse velocemente, per poi puntare i suoi occhi su Marco che osservò per un po'. Il giovane sorrise così gentilmente che l'uomo non poté non sorridergli di rimando, convinto della bontà e dell'affidabilità del ragazzo. Pensò, dentro di sé, a quanto apparisse modesto e pacato, e se ne compiacque, aggiungendo – sempre fra sé e sé – quanto avrebbe sperato che anche Jean dimostrasse l'umiltà dell'altro giovane.
    “Venga, sarà un piacere accogliere un Nobile come lei in casa mia.”, disse l'uomo. Marco chinò leggermente il capo con gli occhi luccicanti.
    “Jean, mostragli tu le camere degli ospiti.”, gli ordinò. Jean annuì.
    “Va bene, Padre.”, acconsentì, ma l'irritazione era lampante sul suo magro volto.
    Si girò verso Marco e verso i suoi compagni. “Venite”, disse, “Vi mostrerò le vostre stanze.”
    La casa davanti a loro era grande e fatta di mattoni, legno e pietre. Vicino ad essa sorgevano diversi edifici, quali stalle e magazzini.
    Entrato in casa, Jean fu accolto dalla madre, una donna ben vestita dai lunghi capelli color stoppa e dagli occhi nocciola come quelli del figlio, che lo abbracciò e lo baciò sulle guance, facendolo sorridere ed allo stesso tempo imbarazzare.
    La donna, accorgendosi solo dopo averlo fatto degli ospiti, mormorò imbarazzata delle scuse, ma quando Marco gli sorrise calorosamente, l'imbarazzo svanì, sostituito dalla compiacenza.
    “Benvenuti”, disse gentilmente, ben disposta verso lo straniero e i suoi compagni.
    Jean sospirò, pensando quanto potesse essere ingannevole un bel sorriso. Lanciò un'occhiata alle sue spalle che fu notata dallo straniero che lo fissò tranquillamente in risposta, senza un minimo cenno di disagio.
    Jean salì le scale e percorse il corridoio, mostrando e spiegando con voce monotona dove fosse il bagno, la cucina e il salotto, quanti anni avesse la casa, a che ora e cosa mangiassero, che cosa allevassero e producessero nei pascoli e nei campi. Marco ascoltava rapito, mentre il suo seguito sembrava annoiato. Infine gli mostrò le stanze degli ospiti.
    “Grazie.”, disse lo straniero.
    Jean alzò le spalle e si girò. “A dopo.”, rispose.
    “Sì”, fu la risposta che sentì Jean mentre percorreva il corridoio.

     
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