Anche gli Dei Muoiono

Genere: Originale Yaoi

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  1. Herit
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    Pongo una piccola premessa prima di iniziare, che così evito di venir denunciata per plagio su una mia opera xD
    Questa storia l'ho pubblicata anche sul Forum di EFP sotto il Nick Herit v_v Ond'evitare casini vari ed eventuali =P

    Tutti i personaggi sono di MIA invenzione e di MIA proprietà e mi sto impegnando per portare questa storia a livello anche grafico in un fumetto v,v
    Ci tengo a precisare perché, nonostante la storia non spicchi in bellezza, ho già trovato un plagio e la cosa mi ha infastidita non poco ^^"

    Detto ciò... buona lettura <3





    Anche gli Dei muoiono.
    The Show Must Go On




    Prologo: Melodia d'autunno.


    Empty spaces - what are we living for
    Abandoned places - I guess we know the score
    On and on, does anybody know what we are looking for...



    La musica scemò lentamente, lasciando che solo le ultime note emesse dallo Stradivari riempissero uno dei più importanti teatri d'Italia. Un silenzio tombale scese lento e leggero come la neve quando anche quell'ultimo accordo morì, denso ed acuto, infrangendosi come una bolla di sapone contro le pareti dell'auditorium. Era una strana sensazione quella che seguiva la fine di ogni esecuzione. Gli capitava sempre più frequentemente di sentirsi svuotato, privato di qualunque cosa portasse dentro di sé. Ascoltò quel silenzio leggendolo attentamente. Beandosene. Gli occhi ancora chiusi come da programma. Se avesse continuato ad apparire concentrato, un frammento della sua immagine sarebbe rimasto impresso nella mente degli spettatori.
    Una figura alta. Impeccabile. Curata sotto ogni aspetto, con quei ricci di un castano chiaro che gli solleticavano sfrontati le guance creandogli in realtà più fastidio che piacere, ma che facevano parte della maschera. Risollevò lentamente le palpebre, svelando lo sguardo del colore di uno smeraldo opaco, lasciando che un fiume in piena di applausi lo travolgesse in quello stesso istante, riempiendolo nuovamente di quanto lui poco prima aveva donato al suo pubblico. Le gambe immobili, seppure lui le sentisse chiaramente tremare dall'interno. Pronte a scattare verso le tende che segnavano la linea di demarcazione tra il palco e il backstage. Stabili impalcature di chi è abituato al confronto con la platea, seppure ogni volta minacciassero di cedere non appena fosse arrivato in camerino, dando libero sfogo alla tensione che si è accumulata nei giorni precedenti e durante la sua prestazione. Il corpo magrissimo che si traduceva in un'armoniosa massa di nervi saggiamente foderati da abiti curati. Eleganti: un gessato nero con una morbida coda a frac che gli si apriva dietro la schiena e che ondeggiava seguendo i suoi movimenti, ogni volta che li accentuava appena rendendoli più teatrali.
    Sorrise. Sentì le labbra stendersi in un'espressione sfrontata, di chi sapeva di aver fatto centro, incantando non solo gli spettatori, ma anche la giuria che sedeva poco distante, in un angolo dell'amplio palco sul quale era ancora il protagonista assoluto. Sorrise sciogliendo quella posa ben studiata ed andando a chinarsi provocando un nuovo scroscio di applausi. Quello era il suo posto: lo era sempre stato. L'unico che potesse appartenergli davvero. D'altronde non si fregiava del cognome Stradivari per nulla.
    Uno.
    Due.
    Tre.
    Come gli avevano insegnato da bambino. Inculcandoglielo in testa fino a quando quel gesto non era divenuto automatico. Tre secondi esatti ed alzarsi lento ed elegante.
    Girarsi verso la giuria.
    Di nuovo inchinarsi.
    Uno.
    Due.
    Tre.
    Ancora su. Poi un ultimo sguardo al pubblico a dimostrar sicurezza e lasciar ancora più vivo in questo il ricordo del giovane violinista che l'aveva appena saputo incantare. Fu con la stessa orgogliosa sfrontatezza con la quale aveva lasciato l'uditorio, che si diresse dietro le quinte.

    Flessuoso e silenzioso, lasciò che fossero i tacchi dei mocassini ad essere il solo avvertimento della sua presenza lì: gli piaceva l'apparenza da ragazzo perfetto che si era creato attorno dopo anni di lavoro. Era pronto, ben conscio che presto due braccia sottili e non troppo lunghe gli avrebbero cinto quasi con fatica il torace non particolarmente largo e sviluppato, ma caldo e confortevole e che un corpo minuto lo avrebbe stretto a sé, lasciando spazio solamente ad una vocina acuta che si sarebbe complimentata con lui per la sua esibizione. Era ordinaria amministrazione da che era riuscito ad entrare al Monteverdi, uno dei Conservatori più rinomati, in Inghilterra. Eppure l'inevitabile non accade. Non ci furono braccia sottili a stringerlo. Così come nessuna bocca sfiorò la sua e nessuna vocetta stridula si complimentò con lui per la sua impeccabile esecuzione. Per qualche istante quel sorriso tronfio con il quale aveva fatto il suo ingresso nella quinta si spense. Che fosse deluso?
    “Mio Dio! Sei stato bravissimo!” Squittì una vocina a lui ben nota. Vocina che ebbe il potere di fargli arricciare le labbra di nuovo, soddisfatto. Complimenti. Ecco di cos'aveva bisogno. Ecco, ora non avrebbe dovuto far altro che abbassarsi appena per accogliere l'abbraccio della sua ennesima pseudo fidanzata e le sue coccole. Sarebbe stato soddisfatto per almeno un paio d'ore. Poi tutto sarebbe tornato ad essere la solita tiritera accompagnata dal solito tram tram che si ripeteva incessantemente da un paio di anni a quella parte e che si sarebbe ripetuto per tutti i secoli dei secoli. O per lo meno quello era ciò che temeva: non riuscire ad andare al di là di quella scuola di musica. Invecchiandoci dentro e divenendo un docente di musica decrepito come il vecchio Harvey. E sarebbe continuata anche quella dannata sensazione di... vuoto. Di incompletezza.
    Presto probabilmente avrebbe lasciato anche quella graziosa ragazzina, così come aveva piantato tutte le altre prima di lei. Era il ragazzo più dotato -non solo musicalmente parlando- dell'istituto. Se lo poteva permettere. Aveva anche un certo fascino: avrebbe potuto avere tutte le ragazze che avesse desiderato, ne era ben conscio. Bastava vedere la fila di gentili donzelle che non aspettavano altro che poter uscire con lui o che gli sospiravano dietro ogni volta che passava per i corridoi con quell'aria un po' svogliata e seria. Altera. Era un miscuglio che alle ragazze, per qualche strana alchimia, piaceva. Però c'era sempre quella sensazione che ognuna non fosse quella giusta. C'era da dire che lui comunque non cercava una storia seria e duratura. Si era steso su tante lenzuola solo per sfogarsi e tutto sommato la cosa non lo dispiaceva nemmeno più di tanto. Semplicemente era tutto così maledettamente freddo, esattamente com'era lui. Ancora nessuna era riuscita a dargli quello che cercava. Sentimenti che invece sapeva infondergli la musica cui dava vita. O era la musica che dava vita a lui? Sinceramente non avrebbe saputo dare una risposta, se qualcuno glielo avesse chiesto. Non la sapeva dare nemmeno a sé stesso quando, mentre suonava un pezzo, si poneva quel quesito.
    Ecco però, lui si sentiva così:
    Come una canzone Pop senza un ritmo orecchiabile e facilmente fruibile.
    Come una canzone Rock priva di un testo che sapesse lasciare un segno dentro chi l'ascoltava.
    Come un madrigale privo di una voce.
    Lui era il testo, morbido ed appassionato come una poesia, ma gli mancavano le note. Quelle note che avrebbero potuto dargli spessore e renderlo terribilmente suadente.
    Aggrottò le sopracciglia in attesa di un abbraccio che per la seconda volta non arrivò, mentre invece, la voce di Elisabetta gli giungeva chiara e tonda alle orecchie. Scocciato. Capriccioso. Scostante. Solo in quel momento decise di dirigersi verso i camerini per vedere con chi la sua ragazza stesse parlando in modo tanto concitato. Furono note di un violino prima ed il giovane rimase impietrito. La medesima sinfonia che aveva suonato lui portata alla perfetta esaltazione. Non era solo musica. No. V'era un mondo dentro quelle note che si susseguivano in un bis che l'esecutore aveva concesso solamente a quella ragazzina petulante che gli stava poco distante.
    “Vic, senti! Senti!” Lo invitò una giovanetta tutto pepe dai folti boccoli neri, avvicinandosi a lui. Ma Victor non la sentiva: troppo preso da altro. Stava fissando attonito il giovane che si stava esibendo con quello quello stesso brano che poco prima aveva portato tanto consenso da giuria e pubblico, dopo esser stato eseguito dal suo Stradivari e che, invece, ora lo faceva sentire solamente un violinista da strada, di quelli alle prime armi. Lo stesso brano che si troncò bruscamente quando il direttore di scena fece il suo ingresso nel camerino.
    “Violin Mark?- Il ragazzo volse immediatamente lo sguardo verso l'ometto basso e rotondo che sostava sulla soglia con alcuni fogli in mano, picchiettandoli distrattamente con una matita. Si sciolse dalla sua posizione carezzando con le dita lunghe ed affusolate il suo violino come se fosse la cosa più preziosa dell'universo. -Oh, signor Stradivari, la sua esecuzione è stata magistrale. Sono sicuro che la borsa di studio andrà a lei, quest'anno.” L'uomo si rivolse così al giovane Stradivari che però non sembrava dargli ascolto, ancora troppo preso dall'osservare quello che di punto in bianco era divenuto il suo più terribile avversario. Alto. Altissimo. Con quei capelli biondissimi e la pelle leggermente olivastra. E poi quegli occhi colore del ghiaccio che lo avevano trapassato da parte a parte giusto in quel momento. Nel momento esatto in cui Pancho (come l'avrebbe rinominato in seguito Lizzy. Si, come quello di Don Quijote) aveva pronunciato il suo cognome, i loro sguardi si erano incrociati ed il castano aveva avvertito una stretta allo stomaco: pesante ed opprimente. Eppure portava con sé una sensazione quasi... calda?
    Senza dire una parola, Violin superò quell'insolito trio che si era andato a formare alla porta del suo camerino passandogli accanto senza dire una parola. Aveva un buon profumo. Victor se lo sarebbe ricordato, ma in quel momento non poteva sapere quanto a fondo sarebbe penetrato in lui quell'aroma. E poi che diavolo stava pensando? Che doveva importargli del profumo del suo avversario più prossimo? Lo seguì per qualche istante con lo sguardo soffermandosi sulle sue mani. Erano grandi. Sicuramente calde. Essere toccato da quelle doveva essere un'esperienza da spezzare il fiato.
    E quelle spalle larghe.
    Se poi, scendendo, tutto andava in proporzione... stop! Stop! Stop!
    Tutti sogni e congetture che poi avrebbero trovato il loro perché, ma che in quel momento lo fecero rabbrividire. Si ritrovò a scuotere il capo con veemenza. Lui era un uomo! Ed era pure gran bel pezzo di figliolo di quasi diciotto anni e soprattutto senza nessuna strana inclinazione sessuale.
    Perché tutto ad un tratto si ritrovava a fantasticare su... sull'ultimo arrivato? Che fosse una crisi ormonale? Ma avrebbe dovuto averla superata da un po', insomma.
    Tra l'altro era oltremodo sciatto. Vestito con Jeans strappati probabilmente presi al mercatino di quartiere e con una camicia nera che gli fasciava il torace e le spalle in maniera così tremendamente sexy. Con un nuovo scossone del capo, Victor andò a rifilare il violino tra le mani di Elisabetta che ancora era lì a cinguettare e a tessere le lodi di quanto aveva appena fatto il signor Violin. Almeno fino a quando la ragazzina non si prese qualche istante a fissarlo meglio, richiamata da quel gesto così inusuale per lui che trattava il suo violino come un oggetto sacro.
    “Hai una brutta cera, Vic...- Constatò la ragazzina che accolse tra le braccia lo Stradivari cambiando completamente espressione, divenendo improvvisamente seria dopo aver sentito la poca delicatezza con cui glielo aveva praticamente buttato addosso. Ci mancò poco che l'archetto facesse un pericoloso incontro di terzo tipo con il pavimento. -Dovresti trattarlo meglio, il tuo vi...” Ma non ebbe il tempo di finire quella predica perché il giovane era già uscito di corsa dai camerini per richiudersi in bagno con la testa infilata nel lavandino e l'acqua fredda aperta al massimo per cercare di placare quell'improvvisa vampata di calore che gli era velocemente affluita in viso. E non solo lì a giudicare da come gli stava tirando il cavallo dei pantaloni.

    La vittoria di Mark fu schiacciante.
    Victor era riuscito a sentire solamente l'ultima parte della sua esibizione, ma ricordava perfettamente quanto fosse stata da brivido. Avevano proposto lo stesso brano, eppure la giuria, al suo avversario, aveva assegnato un punteggio che superava quello del giovane Stradivari di diversi decimi. Quando si incontrarono di nuovo ed i loro sguardi si incrociarono ancora, il ragazzo avvertì chiaramente un brivido lungo la schiena. Aveva un'espressione apatica, Violin. Niente confronto a quella arroganza sfrontata con cui continuava a fissarlo il suo antagonista. Un tacito e cordiale disprezzo tra loro, quando educatamente si complimentarono l'uno con l'altro stringendosi la mano, intascando l'uno il primo e l'altro il secondo premio in palio.




    :flowh:
     
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  2. silvia5190
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    Che incipit interessante!! E a quando la versione grafica? la posterai, spero! Anche se devo dire che la scena si disegnava già perfettamente nella mia testa mentre leggevo! Bello, bello! Aspetto allora!! E ovviamente aspetto anche il seguito! Non pensare di cavartela così!! :cici: :cici: :D

    Anyo Aseyo!! :bye: :D
     
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  3. Herit
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    1. Perché se si sogna la Morte di qualcuno, gli si allunga la vita?



    Another hero, another mindless crime
    Behind the curtain, in the pantomime
    Hold the line, does anybody want to take it anymore
    The show must go on


    C'era di buono che, dopo quell'incontro, Victor era sicuro che le strade sue e di Violin non si sarebbero più incrociate e la cosa gli faceva tirare un sospiro di sollievo. Elisabetta lo aveva lasciato, nel mentre. Era stata la prima ragazza a piantarlo in asso e per questo si era meritata in qualche modo la sua stima, piuttosto che il suo rancore, dimostrandosi più furba e coraggiosa delle altre. Lei l'aveva già capito. A differenza di quanto si sarebbe potuto pensare, dopo il concorso alla Fenice di Venezia, lei non aveva più parlato di quel violinista comparso dal nulla, senza un nome nell'ambiente e che nel nulla sembrava essere scomparso. Di quello che aveva fregato a Victor la borsa di studio da sotto il naso. Il giovane, invece, al contrario aveva cominciato a nominarlo sempre più frequentemente. Era il suo sprone a provare e riprovare, fino allo sfinimento. Lui che era sempre stato considerato dotato di un talento naturale. Un po' probabilmente per via del cognome di cui si fregiava. Quello di suo padre. Non sapeva se discendesse davvero dal grande musicista, fatto stava che quel nome era una garanzia e gli aveva dato più di qualche spinta, nonostante la sua bravura ed il suo assiduo impegno facessero il loro lavoro con dovizia. Era raccomandato. Sì. E se doveva essere sincero, la cosa non lo disturbava affatto, sotto diversi punti di vista. Sotto altri, invece, forse avrebbe preferito avere un cognome senza alcun rilievo. Ma se fosse stato altrimenti, probabilmente in quel momento non sarebbe stato seduto su una delle innumerevoli sedie dell'auditorium del conservatorio a fissare in tralice la professoressa che proponeva improbabili solfeggi dietro al pianoforte.
    “Strà!” Lo squittire della sua ultima ex lo fece sussultare. Erano in aula. Lezione di canto. Era stato costretto a frequentarla come corso extra. Non amava cantare perché considerava la voce come uno strumento imperfetto e difficile da domare: lui purtroppo non possedeva questa capacità, nonostante si destreggiasse con più di cinque strumenti differenti e la cosa l'infastidiva. Sollevò svogliato il mento dalla mano osservandola con sufficienza. Lizzy gli sorrideva con un certo divertimento. Benché fosse stata lei a lasciarlo, aveva preteso che il loro rapporto non cambiasse. Il come non l'avevo mai capito, fatto stava che ci era riuscita. Gli stava attorno infischiandone dei commenti delle alte ragazze che le consigliavano di girargli alla larga, visto che secondo loro era un perfetto stronzo. Ovvio che chi parlava così, era la schiera delle sue vecchie fiamme. Lei invece no. Ascoltava pazientemente le sue lamentele e lo accompagnava nelle sue esecuzioni più difficili quando si preparava per i concerti. Era un'ottima violinista. Con il suo strumento in mano si trasformava, tanto da riuscire quasi ad apparire come una piccola regina vestita di nero. Con quella tendenza un po' Gothic ed un po' Dark che era riuscita ad incuriosirlo in un primo momento, assieme alla sua allegria. Una volta Victor le aveva detto, durante le prove, che gli ricordava una Dea della morte con quei capelli corvini che sembravano inglobare in loro la luce per poi rilasciarla in riflessi opalescenti di una strana tonalità violacea. Lei per tutta risposta gli aveva sorriso con quel sorriso un po' sbarazzino, un po' saccente e l'aveva ringraziato. Molti pensavano che fosse strana. Forse per questo era stata l'unica in grado di stargli vicino per più di tre mesi, senza che a lui venisse voglia di scaricarla prima.
    “Che c'è, Lizzy?” Le domandò sbuffando e lei gli indicò divertita l'altra parte dell'aula di musica. La porta era stata aperta e la preside si era intrattenuta a chiacchierare amabilmente con la loro professoressa di canto. Erano piuttosto concitate. Una voce acuta che si scontrava con un'altra contraltile e ferma. Tornò a fissare la sua migliore amica -sì, perché in altro modo non avrebbe saputo appellarla- scettico.
    “E allora?” Incalzò con le sue domande, svogliato “C'è la preside. Hai ancora paura di lei?” Ironizzò mostrandole un sorrisetto sfrontato che la fece imbronciare. Era carina quando si imbronciava. Divertente. Nonostante l'apparenza da ochetta, nemmeno troppo sotto nascondeva un caratterino sagace. Era furba e decisa e questo la portava ad arrivare sempre dove voleva. Infatti non solo era la sua sostituta in caso di malattia alle esibizioni scolastiche, ma anche uno dei soprani più talentuosi che potesse vantare il loro conservatorio.
    “Ma sei tonto?” Ribatté lei andando a mandare in frantumi in un istante tutta la sua autostima. Era l'unica che ci riuscisse con tre semplici parole. Forse per via dei loro trascorsi. Forse perché glielo aveva chiesto con una dolcezza che stonava completamente con quelle parole. Forse perché lo disse a voce talmente alta da far girare mezza classe verso di loro. Victor rimase per qualche istante con le labbra schiuse per ribattere, ma non fece a tempo ad articolare nulla di sensato, visto che le mani da violinista della sua amica gli afferrarono le guance facendogli torcere drasticamente il collo provocando un rumore sinistro quando le vertebre si mossero, schioccando.
    “Lizzy, sono un umano, non una gallina cui tirare il col...” Ebbene sì: le parole gli morirono drasticamente in gola quando dietro alla Martinelli si presentò un ragazzo. Un ragazzo che, per fama, si trovava già sulle bocche di tutti gli studenti. Soprattutto quella del giovane Stradivari che era rimasta aperta, con il mento che probabilmente di lì a poco avrebbe toccato il pavimento. Pronta ci fu la mano di Elisabetta a fargli riattaccare mascella e mandibola assieme, sollevando gli occhi al soffitto con fare esasperato. Eh, già: lei lo aveva già capito. Lui ancora no.
    “Oh cazzo!” Formulò Stradivari a tono nemmeno troppo sommesso provocando delle risatine da parte di alcuni, e lo sgomento generale della classe. Il raffinato Victor Stradivari che se ne usciva con un gergo così poco di classe. Inaudito. Riabbassò lo sguardo, andando a fissare il banco che improvvisamente era divenuto il fulcro centrale del suo interesse.
    “Dunque, ragazzi. Lui è Mark Violin.- Lo presentò velocemente la professoressa. Aveva già perso abbastanza tempo, per i suoi canoni. -Lei prenda pure posto dove preferisce, dopo mi farà sentire la sua voce.” Il ragazzo dedicò alla classe un profondo inchino -di quelli da esibizione- prima di avvicinarsi alle sedie raccolte ordinatamente in un angolo, afferrandone una e dirigendosi poi verso Lizzy. E quindi verso Victor che in quel momento stava facendo di tutto per imporsi di non guardarlo: se l'avesse fatto, gli sarebbe saltato al collo per strozzarlo.
    “Ben venuto.” Vivace l'accoglienza che gli riservò Elisabetta e nel mentre il giovane Stradivari si limitava ad ignorarlo cordialmente, dimostrando all'improvviso un profondo interesse per la porta dalla quale la preside non sembrava essere intenzionata a schiodarsi. Non sapeva perché, ma aveva la netta sensazione che da sotto i suoi fondi di bottiglia, lo stesse osservando con un sorriso sardonico. -Sarà solo un'imp...- Non finì di formulare quel pensiero che la voce quasi maschile della donna lo fece sobbalzare. No, decisamente quella non era la sua giornata.
    “Victor!” Lo richiamò all'ordine quella specie di teiera dai capelli color carota. Si impose una calma che in quel momento sembrava essersi andata a fare un bel viaggio alle Hawaii. Magari lo stava chiamando solamente per... congratularsi con lui. Con il secondo posto ottenuto solo un mese prima avrebbe potuto pagarsi comodamente le ultime due rate della scuola, per quell'anno.
    “Mi dica.” Eccolo. Ora lo riconosceva quel mezzo sorriso un poco sfrontato, un poco arrogante che sentiva arricciargli le labbra, ancora lì, sul suo viso. Per un istante mise da parte il pensiero che lui e Mark frequentavano il medesimo istituto. Gli sarebbe bastato stargli lontano per essere sicuro di non avere seccature. Frequentavano la medesima ora di canto corale? Avrebbe girato al largo. Non l'aveva mai sentito parlare, ma all'apparenza doveva avere una voce discretamente bassa, quindi ben lungi dalla sezione del coro dove solitamente sostavo lui: i tenori.
    “Alla fine della lezione la voglio nel mio ufficio. Porti con le anche il signor Violin.- Una volta aveva letto in un libro che quando si ha un sogno, tutto l'universo cospira affinché questo sogno si realizzi. Bene. Allora perché il Mondo intero sembrava cospirare affinché lui realizzassi un duplice omicidio in tempi stretti? Beh... in fondo anche quello era un suo desiderio, no? Il suo sorriso si spense miseramente mentre si limitavo ad annuire alla preside sempre più depresso. Sia fatta la sua volontà. Non poteva essere altrimenti. -Ah. E mi hanno chiamato di nuovo per tua madre.” Eccola lì. L'onta della sua famiglia: sua madre. Scrollò le spalle noncurante accompagnando tutto con un'espressione di sufficienza. Aveva imparato a fingere di fregarsene bellamente, di quella donna, come lei si era infischiata di lui in quei diciassette anni dal giorno in cui lo aveva dato alla luce. Fingere, già. La mano sinistra corse alla sua spalla destra. Fingere.




    Mmmh...
    Per la versione visiva, mi sa che c'è da lavorarci ancora XD Purtroppo non ho tempo di disegnare <.<"
    Metterò presto l'immagine dei protagonisti, intanto ;)

    Le bamboline! XD

    Mark:
    image


    Victor:
    image

    Edited by Herit - 6/3/2011, 01:25
     
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  4. silvia5190
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    Yeee!!! Ma così mi vizi!! Adesso mi aspetto un capitolo al giorno! Mi piace proprio il protagonista: è così insopportabile! Un ottimo elemento da far andare fuori di testa!!:rotfl: :rotfl:
    Dai che viene proprio un bel lavoro!! Nel caso stringessi amicizia con un famoso produttore posso parlargli di te? :D

    Ora mi metto buona buona in un angolino ad aspettare il seguito... :rolleyes:
     
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  5. Herit
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    2. Brutta bestia, l'Invidia.

    The show must go on, yeah
    Inside my heart is breaking
    My make-up may be flaking
    But my smile still stays on


    Un, due, tre, quattro.
    Ancora.
    Un, due, tre, quattro.
    Perfetto. Poi il pezzo difficile.
    Un, due, tre...
    Sting.
    Ed eccola che partiva. Maledetto quel passaggio. Otto note. Otto note terribilmente irritanti che non sembravano proprio essere intenzionate ad uscire dal suo violino come lui gli dicevo. O forse era proprio lui quello ad essere così incredibilmente fuori tono. Stonato. Fuori di sé e dal mondo. Arrabbiato.
    “Stradivari, vorrei aiutasse il giovane Hamadeus ad ambientarsi nel nostro istituto. So che avete partecipato entrambi al concorso alla Fenice. Il qui presente ha ottenuto un risultato più che ottimo, direi, visti i voti conferiti dalla giuria.- Come se lui non l'avessi saputo. Maledetta megera! Si divertiva a prendersi gioco di lui. -Sono sicura che potrete diventare ottimi amici. Anche perché occuperà la camera adiacente alla sua.- Racchia odiosa! Vecchia bisbetica! Se Shakespeare l'avesse conosciuta, altro che “La bisbetica domata” avrebbe scritto. “La Bisbetica indomabile”, ecco cos'era! Poi la gente si chiedeva perché era ancora zitella. Chi se la sarebbe raccolta una scorfana già condita con tanto di limone? Dovevano anche aver esagerato con il limone, acida com'era. -Ah, e, signor Stradivari, un'ultima cosa. Ringrazi calorosamente la sua famiglia. Anche quest'anno hanno fornito un contributo notevole alla scuola.” Come a dirgli che doveva ringraziare papà e nonni se continuava a studiare in quel conservatorio. Come se dovesse ringraziare lui per il fatto che dessero tanti soldini all'istituto, perché senza quelli lui non sarebbe stato lì e non sarebbe riuscito nemmeno ad ottenere gli ottimi voti che aveva. Le rispose con un sorrisino di convenienza. Dio solo sapeva quanto Victor potesse odiarla.
    Riprese a suonare. Era l'unico modo che aveva per sgombrare la testa. Gli faceva male.
    Dannatamente male. E non era la sola cosa a dolere. A dispetto di quanto si potesse pensare, lui si era fatto da solo, senza l'aiuto di nessuno. L'unico che doveva ringraziare, era proprio me stesso.
    Sting.
    L'ennesima nota sbagliata. L'ennesima battuta che non usciva. L'ennesima frase che, dopo quattro ore di prove ininterrotte in solitaria, in una delle stanzine private che il conservatorio forniva agli studenti, ancora non usciva come avrebbe dovuto. Si accasciò mollemente sulla sedia che aveva preparato dietro di sé, andando a tirare un lungo sospiro. Si sentiva a pezzi. Aveva voglia di piangere. Lui, che da che ricordava, non aveva mai versato una lacrima. Freddo a qualunque emozione, non fosse scherno o ironia che lui stesso produceva.
    “Maledizione!” Imprecò senza porsi grandi problemi. Lì erano lui e la stanza insonorizzata. La stanza insonorizzata e lui. O per lo meno, così pensava. Si appoggiò lo Stradivari sulle gambe, incarcerandolo tra il petto ed i gomiti che si piantò sulle ginocchia spigolose per afferrarsi in fine il capo tra le mani. Faceva male. Dannatamente male. E prese a dolergli ancora di più quando sentì delle note provenire dalla stanzina adiacente. La porta condivisa che creava l'unico angolo non insonorizzato di quel posto improvvisamente divenuto troppo stretto. Non voleva sapere chi stesse suonando. Non voleva, perché in realtà già poteva immaginarsi la risposta. Non era il modo di eseguire intenso di Lizzy, né tanto meno quello calmo e deciso di Axel, il suo migliore amico. Era armonioso. Morbido e delicato. Capace di trasmettere sentimenti che, ascoltando il passaggio eseguito da altri, non si sarebbero mai potuti sentire. Quegli stessi sentimenti che aveva sentito trapelare alla Fenice.
    “Ecco, questo è l'auditorium. Queste sono le sale prove. La mensa. Qui conservano gli strumenti. Se vuoi farti un bagno c'è il bagno più grande al piano di sotto, accanto alla piscina. Altrimenti la doccia è...- Esitò per qualche breve istante storcendo le labbra e sentendo un brivido freddo corrergli lungo la schiena. -E' nel bagno condiviso dalle nostre due stanze. Ehi? Mi stai ascoltando?” Aveva fatto fare il giro turistico del collegio al suo compagno di studi due giorni prima, scarrozzandoselo in giro velocemente, seccato, quasi sperassi che così quella vicinanza troppo... vicina, si sarebbe spezzata prima. Il fatto che si trovasse nella sala prove accanto alla sua, in quel momento, lo smentiva sotto tutti i punti di vista.
    “Violin...” Sbuffò quel nome seccato, per nascondere a se stesso la reazione inconsulta del proprio cuore che aveva appena compiuto un balzo nel petto. Afferrò con decisione lo Stradivari e ritornò in piedi con un movimento rapido. Infastidito. Non avrebbe più sbagliato quel passaggio, ne era convinto. Errore. Non servì nemmeno sperimentare quell'ennesimo tentativo, visto che non appena si fu tirato in piedi, sentì le gambe farsi molli e poco dopo si trovò riverso a terra privo di sensi e con una febbre tanto alta che avrebbe potuto tramortire un cavallo.
    Forse fu il rumore emesso dal violino dopo il caracollare a terra di Victor.
    Forse fu un semplice presentimento.
    Ma poco dopo la porta della stanzina venne aperta.

    Victor Stradivari odiava la febbre. Il suo era un odio viscerale cresciuto con gli anni e nato a causa delle continue prove cui lo sottoponevano i suoi nonni quando restava a casa per motivi di malessere. Quando da bambino, con l'ingenuità dei suoi otto anni, diceva ai suoi compagni di classe che a lui piaceva andare a scuola, era causa di ilarità generale. Tanto che dopo una prima volta, non ne erano più seguite. Non aveva bei ricordi della sua infanzia. Soltanto il violino ed i docenti che venivano letteralmente assoldati dalla sua famiglia perché il suo talento non andasse sprecato. In quegli anni, se avesse potuto, il suo talento l'avrebbe venduto al miglior offerente.
    Accolse il nuovo giorno con un sonoro sbadiglio, allungando le braccia sopra il capo e stendendo per bene le gambe sotto le coperte. Era vero. Victor Stradivari odiava la febbre, ma senza dubbio amava dal più profondo la domenica mattina. Doveva aver dormito fino a tardi. Ne era certo. Poteva sentire chiaramente il vociare dei suoi compagni provenire dal giardino del dormitorio. Era immenso ed attrezzato con diversi campi dove praticare sport di tutti i generi. Altrimenti poco distante c'era un lago in riva al quale si poteva correre oppure ritrovarsi per lunghe chiacchierate. E la domenica mattina era dedicata soprattutto a quello. Allo sport. Agli incontri tra i ragazzi al di fuori dalle aule. Alle chiacchierate in compagnia. Era inizio autunno ed il sole era tiepido. Fuori si doveva star bene. La cosa invogliò maggiormente il giovane violinista, che, dopo dieci giorni di segregazione nella propria stanza, sentiva davvero il bisogno di uscire a fare due passi. E magari trovare l'ennesima fidanzata, o per meglio dire: vittima. Saltò giù dal letto andando ad afferrare il lettore cd posato a terra. Ne aprì lo sportellino e vi infilò dentro il primo dischetto che gli capitò sotto mano. Beethoven. Non l'amava particolarmente. Preferiva cose più raffinate. Decisamente, se avesse potuto scegliere, in quel momento avrebbe inserito Verdi, ma non aveva proprio voglia di mettersi a frugare per trovarne il cd.
    “Doccia.” Decretò dopo essersi dato una veloce occhiata allo specchio a figura intera che se ne stava pigramente appeso all'armadio. La figura che gli restituì le proprie attenzioni era magra, quasi filiforme. Non aveva un filo di grasso o di muscoli ed appariva quasi emaciata, dopo più di una settimana di digiuno quasi completo. Però la sua espressione era sempre quella di furba strafottenza. Già. Una doccia e sarebbe stato come nuovo. In pochi istanti fu completamente nudo, e l'istante dopo era già sulla porta del bagno con il proprio asciugamano ben legato in vita, tutto intento ad aprire l'ingresso della stanzetta. Quello con cui non aveva fatto i conti è che qualcuno potesse trovarsi lì dentro. L'ultima persona a cui pensava in quel momento. E l'unica che, se avesse saputo, avrebbe evitato caldamente di vedere. Lì. Statuario. Come Madre Natura l'aveva fatto. E perché no? Bello da mozzare il fiato. Mark se ne stava in piedi davanti a lui. Le mani che frizionavano i capelli tenuti lunghi e che bagnati diventavano leggermente opachi. La pelle abbronzata e segnata sul petto da quella che sembrava essere una cicatrice. Le spalle larghe. Larghissime ed allenate, così come i pettorali segnati e non incavati come quelli di Victor. Quella leggera peluria un poco più scura a macchiare la sua pelle ancora segnata da qualche goccia d'acqua. Il cuore di Victor perse un colpo. Tu-tum. Lo stesso Victor che si accorse di star fissando il ragazzo che aveva difronte solo dopo qualche lunghissimo attimo. Tu-Tum. Nello stesso attimo in cui i loro sguardi si incrociarono. Ed il suo corpo reagì da solo prima che lui potesse anche solo pensare a qualcosa di razionale. Tu-Tum. Tu-Tum. Avvertì il cuore pulsargli all'altezza della gola e rabbrividì per quello che stava succedendo, abbassando lentamente gli occhi quasi a volersi accertare che non fosse solo una sensazione. Ma l'erezione che faceva bella mostra di sé sollevando l'asciugamano che invece di coprirla sembrava accentuarla gli tolse qualunque dubbio, mandandolo in una sorta di panico. Panico che non venne di certo attenuato quando, alzando gli occhi, inciampò sulla figura di Violin e si accorse che al giovane che aveva davanti, stava succedendo la stessa cosa.
    Ci mise un secondo, il suo raziocinio, a tornare. Ed il secondo dopo lui era già fuori dalla porta del bagno che imprecava, rosso in viso, per quello che gli era appena successo. Possibile che le crisi di sessualità dovesse avercele proprio in quel momento? E soprattutto... provocate da Mark Violin?! Si catapultò correndo di gran carriera verso il proprio letto, recuperando i vestiti che ci aveva malamente piazzato sopra. Fu veloce come un fulmine a rivestirsi, uscendo di volata dalla propria stanza e filando verso il bagno del piano inferiore. Altro che doccia. Adesso aveva decisamente bisogno di un bagno ghiacciato.
    [/color]

    Ghghghgh xD
    Un capitolo al giorno no, dai xD
    Solo quando mi ricordo che la sto postando anche qui X°D


    Hope u like it! <3
     
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  6. silvia5190
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    If i like it? I love it! Sempre più interessante! Stravedo per victor e per le sue crisi di odio/amore/odio!! Ma i nomi dei personaggi indicano una provenienza particolare? Victor stradivari mi fa pensare ad un austriaco o svizzero, mentre mark un mi da l'idea di avere origini francesi... (Spero però che siano meno pucciosi nella versione grafica definitiva...)
     
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  7. Herit
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    3. Semplicemente Destino, o gli hai dato una mano?



    Whatever happens, I'll leave it all to chance
    Another heartache, another failed romance
    On and on, does anybody know what we are living for ?


    “Ma tu... cosa aspetti a portartelo a letto?” Sussultò visibilmente quando una voce lo colse di sorpresa. Le spalle che si alzarono di scatto e lui che si ingobbì come un gatto che lì per lì si sente minacciato. Ecco cosa sembrò ad Axel, in quel momento. Il cucciolo di un gatto che sta per saltare addosso ad un cane che gli ha abbaiato contro. E quell'impressione lo fece sorridere maggiormente quando il violino di Victor rovinò pericolosamente sul prato dove stava seduto.
    “Ax, benemerito pezzo di deficiente! Cosa ti dice il cervello? Stavo provando.” Soffiò Stradivari, compito, recuperando il proprio strumento che nella caduta aveva emesso una serie di note stridule e fastidiose, scordandosi, come se non fosse bastato. Paziente, il giovane si mise a sistemarle nuovamente, senza nemmeno il bisogno che utilizzare l'accordatore. Aveva un orecchio terribilmente fine. Ce l'aveva sempre avuto, fin da bambino.
    “Oh, certo. Stavi provando come pizzicare l'archetto nel modo giusto. Ma sono sicuro che stessi pensando ad un altro tipo di... 'archetto'.” Ribatté con una sottile ironia il ragazzo, mentre il suo volto si velava di una discreta malizia e portava quegli occhi verdi contornati di marrone e tremendamente provocanti verso il campo da Basket. Dalla collina dove si trovavano si aveva un'ottima visuale del piccolo rettangolo di cemento segnato da linee bianche e rosse. Vic si sentì preso in contropiede. Era così lampante che invece di guardare gli spartiti che aveva accuratamente posato contro le gambe stesse osservando ben altro?
    Giù, in campo, c'era una sagoma che per lui in quei giorni era divenuta tremendamente nota. Ricercata e temuta al tempo stesso. Mark stava giocando assieme ad un gruppo di ragazzi più grandi. Anche se in realtà non aveva ancora capito quanti anni avesse l'uomo. Gli era parso di cogliere un ventitré durante una chiacchierata in mensa, ma non ne era così sicuro. Dal giorno del loro piccolo “incidente” in bagno, non si erano nemmeno più rivolti la parola. Eppure si era reso conto di cercarlo con lo sguardo ogni volta che poteva, dandosi del cretino quando puntualmente veniva colto in flagrante dagli occhi ghiaccio dell'altro.
    “Smettila, Ax. Non sono dell'umore giusto per il tuo sarcasmo.” Sbuffò seccamente ritornando ad accordare il proprio strumento, fingendo di provarlo e riprovarlo per controllare che tutto fosse apposto. La sua farsa durò però ben poco, visto che quando alle sue parole non seguì una ribattuta si costrinse a sollevare gli occhi per osservare l'amico, incontrandone il sorrisetto sornione ed il viso imbellettato con il rimel ed una pesante matita nera. Aveva i capelli di un bel rosso Tiziano. Non erano il suo colore naturale, era lampante. Axel di natura aveva i capelli neri. Neri come la pece, se non di più. E gli occhi che vicino alla pupilla diventavano di un verde erba quasi spiazzante. Talmente chiaro e limpido, che ad un primo sguardo si sarebbe potuto pensare di perdercisi dentro. E si sarebbe potuto pensare che anche il proprietario, caratterialmente, fosse così bello e limpido. Axel non era assolutamente bello. Era il tipo che piaceva, però. Molti lo consideravano strano. Per Stradivari, invece, era solo po' eccentrico in quel portare colori che tra di loro non si sarebbero mai incontrati e che invece, addosso a quel corpo che ora sfiorava l'anoressia, donavano come ad un quadro surrealista. Victor l'aveva visto crescere e cambiare, seppure si sarebbe potuto pensare il contrario, visto che il ragazzo era di quasi cinque anni più grande di lui. Gli aveva fatto da fratello maggiore. Il violinista l'aveva visto affrontate e superare l'obesità prima, assieme alle prese in giro dei compagni di scuola. La droga. E l'anoressia poi, assieme a quel momento un po' emo dal quale l'aveva visto rinascere forte e maturo. Diverso, ma sempre uguale.
    “Non è sarcasmo, fratellino. Sono gay: mi accorgo di queste cose.” Già. L'ultima prova da affrontare era stata l'omosessualità. Tutto quello che aveva passato Ax era riconducibile al suo non volerlo ammettere. O per lo meno, il suo non averlo voluto ammettere prima. Probabilmente, se l'avesse fatto diversi anni a dietro, non avrebbe dovuto affrontare tante vicissitudini con i genitori e con il resto del mondo. La madre, da che glielo aveva comunicato, era in terapia da uno psicologo. Aveva provato a portare anche lui dallo strizzacervelli, ma questo non aveva fatto altro che aumentare le sue certezze. Alla fine aveva riso bellamente in faccia a tutta la sua famiglia e li aveva cordialmente mandati a fanculo, impegnandosi per realizzare il proprio sogno: portare la musica classica ad un livello più fruibile per tutti. Quello che sapeva creare con le sue mani era come lui. Stravagante, con quelle unghie laccate di nero ed il piercing triplo al sopracciglio. Eppure piaceva. Aveva il potere di incatenare. Ed era uno studente modello, tanto che i professori gli concedevano quell'eccentricità anche quando indossava la divisa scolastica.
    “Allora, te lo sei portato a letto?- Ecco. Se la domanda gli fosse stata posta solamente da Axel avrebbe avuto un suo perché. Ma sentire il medesimo quesito venir pronunciato dalle labbra di Lizzy ebbe il potere di pietrificarlo sul posto. Non s'era accorto che anche lei fosse lì, arrampicata come un corvo su uno dei rami dell'albero. Victor schiuse le labbra per articolare qualcosa, ma la ragazzina gli precluse qualunque possibilità di ribattere. -E' lampante.” Disse in un sorriso divertito, come se avesse avuto il potere di leggergli nella mente. E nel cuore. Non seppe come, il ragazzo, ma in quel momento realizzò che Elisabetta doveva averlo lasciato anche per quello.
    “No. E poi non voglio portarmelo a letto, Liz. Piuttosto... che ne dici di andarcene da qualche parte io e te?” Sviò e lo fece con stile. Un sorriso sornione in volto, accattivante. Era però sicuro che la violinista avrebbe declinato con quello stesso sorriso con cui ora lo stava fissando. Eccola inclinare il capo verso una spalla in un gesto vezzoso che ripeteva ogni volta che rifiutava qualcosa. Con quei capelli neri che ribelli scendevano in lunghi turaccioli. Se avesse dovuto pensare a Raperonzolo, l'avrebbe immaginata come lei, in quel momento, a calare la propria treccia verso il principe giunto per salvarla. Solo che in quel caso, il principe non era lui.
    “Io non prendo appuntamenti con gli omosessuali.” Altezzosa in quel sollevare il capo facendo vibrare un poco il ramo sul quale stava appollaiata. La piccola dea della morte. La piccola principessa dei corvi. Axel non parve prendere botta di quelle parole. Tutt'altro. Quasi le fosse complice, l'osservò ridendo ed allungando le braccia verso di lei.
    “E con me usciresti, amore?” Le domandò facendola sfociare in eccesso di risa mentre lei stessa compieva il medesimo gesto eseguito del ragazzo, lasciandosi ricadere tra le sue braccia scheletriche che però la sorressero con la forza di due solide impalcature.
    “Ma certo che sì, tesoro!” Cinguettò civettuola lasciando completamente spiazzato il giovane Stradivari. Che il suo amico fosse gay era risaputo in tutta la scuola sin dal primo giorno che ne aveva calcato i corridoio con passo fluido ed indifferente, dedicando sorrisi ed ammiccamenti a qualunque esemplare di sesso maschile gli fosse passato sotto tiro. Li osservò interdetto mentre si scambiavano un casto bacio sulle labbra, più fraterno che passionale. Ax era talmente piccino che da lontano si sarebbe potuto scambiare per una ragazza. Victor non seppe per quale motivo, ma nella sua mente andò formandosi una di quelle immagini da film a luci rosse dove due donne si baciano davanti all'uomo che solitamente le ingaggia al fine di soddisfare la propria perversione. Ancor meno si riuscì a capacitare dell'incantesimo che aveva trasformato le due donne in due uomini. E quegli uomini avevano la faccia sua e di Violin. Cazzo! Decisamente stava degenerando. Scosse il capo tornando a fissare i due amici che ancora giocavano alla strana coppia.
    “Perché lui si e io no?” Chiese imitando la voce infantile di Elisabetta, ricevendo in risposta una risata argentina da parte della ragazza che subito gli dedicò un giocoso sberleffo in risposta. Solo in un secondo momento si distaccò da Axel, gettandosi al collo dell'altro, strusciando contro la sua guancia con la propria, come un gattino ruffiano.
    “Perché lui lo ammette e tu no.” Fu franca in quell'affermazione, sgranando gli occhi poi, allo stesso modo degli altri due quando un grido provenne dal campo da basket. Gli ci volle un nulla per scendere dalla collinetta sulla quale erano arrampicati. E gli ci volle ancora meno per cogliere le prime informazioni su quanto era appena avvenuto.
    “Dicono che sia svenuto Violin.”
    “Davvero? Io avevo capito che si è preso una storta alla caviglia.”
    “Ma no! Il poverino soffre di cuore. Speriamo che non gli sia venuto un attacco!”
    “Si, è vero! Anche io lo avevo sentito dire. No, cielo! Speriamo di no..!”
    “Poveraccio.”
    “Chiamate un'ambulanza!”

    L'ambulanza abbandonò l'istituto a sirene spiegate, lasciando gli studenti spersi.
    Lo svenimento di Violin.
    Il fatto che uno dei violinisti più bravi del conservatorio soffrisse di cuore.
    Il giovane Violin di per sé.
    Questi divennero l'oggetto di maggior interesse per la settimana a seguire e anche dopo, una volta che al giovane fu permesso di ritornare a frequentare liberamente le lezioni, seppure stando attento e venendo monitorato almeno almeno un paio di volte a settimana.

    Victor se ne stava lì, impassibile.
    Era un unico blocco di cemento armato che non sembrava volerne sapere di sposarsi dalla sedia sulla quale si era accomodato qualche ora prima, nonostante l'istinto di fuggire il più lontano possibile. Avrebbe potuto comprare un biglietto per le Bahamas e suonare all'interno di uno di quei localini in spiaggia per i turisti. Avrebbe preso due piccioni con una fava! Anche tre, forse. In primis, non avrebbe più visto Mark: liberazione. Poi avrebbe guadagnato, tranciando completamente i conti con la famiglia. Ed in ultima... in ultima... si sentiva un benemerito deficiente. Ed era ironico, perché la sua maschera sfrontata reggeva anche in quel momento di panico puro. Axel e Lizzy l'avevano trascinato lì per vedere come stava Violin, ma lui si sentiva tremendamente fuori luogo. D'altronde lui era il suo nemico naturale. In quel mese e mezzo di convivenza all'interno della scuola si erano sfidati a suon di violino più e più volte perché sembrava che i professori si divertissero a metterli a confronto. Una nota dietro l'altra, la lotta però era sempre impari. Contando oltre tutto che il “signor Mark” sapeva cantare e lui no.
    “Begli amici che mi ritrovo. Se la sono data a gambe...” Brontolò adocchiando con stizza la porta della stanza mandando cortesemente a farsi una passeggiata Elisabetta e quell'altro traditore.
    “Andiamo a mangiare un boccone. Tu resta lì, che devi spiegargli cos'è successo, quando si sveglia.” Come no? Si erano coalizzati contro di lui, ecco cos'era successo. Era irritato. Aveva le braccia conserte al petto ed un'espressione così corrucciata da far intenerire pure l'infermiera che era passata per di lì a cambiare la flebo attaccata al braccio sinistro dell'uomo.
    “Vuoi qualcosa da leggere?” Gli aveva chiesto risvegliandolo da quello che doveva essere diventato il suo passatempo preferito da un po' di tempo a quella parte: fissare Violin. Lo stava guardando anche il giorno precedente mentre giocava a pallacanestro, prima che il suo cuore cedesse. Quando parve rendersene conto tossicchiò per nascondere un leggero rossore che era salito ad imporporargli le guance. Che reazione stupidamente anomala. Si sentì preso in contropiede.
    “No, la ringrazio, signorina.” Era stato cortese nel risponderle, nonostante il proprio crescente nervosismo. Un sorrisetto sbruffone a stenderne i tratti, quasi a voler dire che lui non era assolutamente preoccupato, mentendo all'infermiera ed a se stesso, prima di tutto. La donna aveva annuito osservandolo per qualche istante, per poi ritirarsi con il carretto nel quale portava i medicamenti per i cari pazienti.
    “Devo aver scritto cretino in faccia.” Brontolò in uno sbuffo stravaccandosi sulla sedia, scivolando un poco in avanti, spostando lo sguardo per la prima volta verso la finestra della stanza. Si godeva di una bella vista, da lì. C'era un prato del quale non riusciva a vedere la fine, seppure il grigiore delle nubi quasi perenni in quel luogo ne rovinasse la magia. Un raggio di sole aveva fatto suo uno strappo tra le nuvole e filtrava biricchino tra queste, posandosi pigramente sulle acque del laghetto poco lontano. Quello dove le infermiere portavano i vecchietti in sedia a rotelle a passeggio.

    “Stradivari, perché non ci illustra la sua ultima creazione?” Il professore di composizione lo odiava particolarmente. O forse lo amava in un modo tutto suo e quella sorta di sadismo era il suo modo di dimostrarglielo? Victor non lo aveva mai capito. Però non gli dispiaceva esibirsi davanti a tutto il resto della classe. Solitamente restavano tutti ammirati e poteva avvertire una certa invidia sollevarsi nell'aria. Quella stessa invidia di cui si nutriva soltanto perché in quell'ambiente malsano era l'unico sentimento reale. L'unica cosa che potesse dimostrare che lui si stava facendo da solo e non con l'aiuto dei suoi famigliari.
    “Sì.” Era stato monosillabico e si era velocemente alzato in piedi con il suo strumento già posizionato sulla spalla. Non aveva gli spartiti. L'insegnate doveva averlo notato all'inizio della lezione. Ma lui non ne aveva bisogno. Erano sue creazioni e le sapeva tutte a memoria.
    Un breve respiro e cominciò. Era una cosa piuttosto semplice, in realtà. Doveva adattarla ancora completamente. Mancavano diverse partiture, perché aveva completato solo le prime due per il violino e la viola. Avrebbe dovuto suonare tutto il quartetto d'archi, accompagnato da un flauto traverso. Poi fu una cosa improvvisa. Un violino stava suonando sotto il suo. Un'armonia perfetta. Note che si intrecciavano e concatenavano l'una con l'altra e quando partì una stonatura sicuramente non l'aveva eseguita il secondo violinista, bensì Victor stesso, quando si era reso conto che il suo controcanto era creato da Mark.
    “Maledetto.” Glielo aveva ringhiato dietro a tono talmente basso che probabilmente nessuno avrebbe potuto sentirlo. Eppure il ragazzo gli lanciò un'occhiata in tralice, cessando a propria volta di suonare e riponendo il violino sulle gambe.
    “Mi congratulo con voi, signori. Collaborare in questo modo è certo redditizio.” Aveva esordito il professore. Ma Victor se n'era già andato dalla classe.
    Quel giorno. Lì era finalmente esploso il suo odio per Violin.

    “E non solo in faccia.” Fu una voce baritonale ed ironica quella che lo raggiunse facendolo sobbalzare visibilmente sulla sedia e costringendolo a mettersi nuovamente diritto e composto su questa. Aveva un bel timbro. Caldo e pastoso. Basso. Ma per nulla fastidioso. Quella voce! Quella voce! Fu bravo a trattenere l'istinto omicida che lo pervase quando si rese conto che Violin aveva probabilmente sentito il suo monologo. Si voltò di scatto ad osservarlo. L'espressione improvvisamente fredda ed altezzosa. Lo fissava con sufficienza, senza preoccuparsi di essere sgarbato. Tutt'altro, sembrava farlo apposta. Voleva metterlo a disagio, anche se quello ad essere più in difficoltà era proprio lui.
    “Soffri di cuore.” Lo disse con scherno. Stronzo. Voleva essere stronzo. Lo stava facendo di proposito. Calcolatore fino al midollo. Ma comunque non riusciva a capire perché anziché far male all'altro, era lui a sentir male al petto. A sentirsi tremendamente stupido. “Quale essere senziente e sano di mente si mette a giocare a pallacanestro pur sapendo di rischiare un colpo?” Fu acido nello sputare quelle parole, trovando solo un muro di silenzio una volta che ebbe finito. Continuò ad osservalo severo, rendendosi conto solo in un secondo momento che così facendo sembrava quasi si stesse preoccupando per lui. In risposta un provatissimo Violin sollevò le spalle con noncuranza, ancora steso sul proprio giaciglio. Seguitarono a tacere per una buona decina di minuti. Tanto che Victor cominciò a pensare che l'altro si fosse riaddormentato, visto che teneva gli occhi chiusi, ma fu proprio quando lui fece per andarsene, che il compagno di studi lo richiamò.
    “Per quanto successo in bagno...” A quell'esordio il violinista sussultò lanciandogli un'occhiata bieca e furente. Il cuore gli fece un paio di giravolte, preso da chissà quale emozione. Forse paura.
    Paura di venir considerato strano.
    Paura di essere preda di pregiudizi.
    Paura di quegli occhi tremendamente azzurri.
    Di quei ciuffi colore del grano maturo.
    Di quel corpo olivastro ed allenato.
    Di capire come diamine facesse un malato di cuore avere un corpo così ben delineato e forte.
    “Dimenticatene, no?” Semplicistico. Talmente semplicistico, che se fosse successo un'altra volta un episodio simile, probabilmente non si sarebbe più fatto scrupoli e gli sarebbe saltato addosso, in barba a qualunque pregiudizio. Ma che diavolo stava pensando? Lui non era Gay. Non lo era! Assolutamente! Che fosse bisessuale? Sarebbe stato anche peggio! Da un certo punto di vista sarebbe stato curioso di sapere quante risate si sarebbero fatti i due cugini di Satana, Liz e Ax, se fossero venuti a conoscenza di tutte le pare mentali che si stava facendo per colpa di quel tipo.
    “Stavo per chiederti io di dimenticartene. Comunque, presto non starò più al dormitorio.” Gli comunicò con tono tranquillo. Quasi piatto. E quella fu l'ennesima sferzata al cuore, per Victor. Tanto che di nuovo fissò il giovane uomo steso sul lettino dell'ospedale. Gli occhi che guizzarono da una parte all'altra. Era rimasto sorpreso, quasi ferito da quell'affermazione, e non sapeva darsi una motivazione plausibile. Quando tornò a fissare Violin, si stupì lui stesso di trovarsi sporto verso di lui per osservarlo meglio in volto. Con i gomiti poggiati sulle gambe, per stare al suo livello.
    “Perché? Rinunci?” Esultare. Ecco cosa doveva fare. Doveva esultare e fargli vedere che non gli dispiaceva. Doveva fargli vedere che la cosa lo esaltava e lo entusiasmava. E allora perché la voce gli uscì così bassa e dispiaciuta? Mark non gli rispose. Affatto. Semplicemente si avvicinò repentino a Victor. Tanto veloce che questi non si rese nemmeno conto di quanto stesse succedendo almeno fino a quando non si ritrovò a rispondere d'istinto al bacio di Violin. Un bacio inizialmente casto. Un semplice assaporarsi. Un semplice contatto tra le loro labbra. E lì ci fu qualcosa che non gli quadrò. Perché il suo raziocinio gli diceva di andarsene ed invece lui se ne stava lì a baciare... un uomo?! E soprattutto... perché non gli dispiaceva?!
    “Perché se succedesse di nuovo, questo sarebbe il minimo della pena.” Gli spiegò distaccandosi da lui e lasciandolo balzare in piedi in preda al panico. Tremò Stradivari. Tremò di rabbia e non solo. Ma in quel momento, la rabbia era l'unica sensazione che riusciva a distinguere. Tremò e si avviò veloce verso la porta della stanza.
    “Ti odio.” Sibilò quelle parole a metà tra il corridoio e quell'ambiente asettico che era diventato improvvisamente distorto. A tratti troppo stretto. A tratti troppo largo. Non aggiunse altro, prendendo a dirigersi verso il piano inferiore. Voleva uscire da quel manicomio. Voleva uscirne. Sarebbe andato in qualche bar vicino al conservatorio ed avrebbe rimorchiato una ragazzina stupida. Se la sarebbe fatta. Scopata, nel migliore dei casi. E poi se ne sarebbe tornato al dormitorio con l'anima di nuovo un pace. Sì, avrebbe fatto così e sarebbe tornato tutto al proprio posto.



    Yeeeh! XD
    Anche io amo Vic, ma di più Axel, che compare in questo capitolo :P

    Allego anche l'immagine (disegnata da me, questa volta xD perdonate la risoluzione, ma è fotografata xD)

    SPOILER (click to view)
    image


    Edited by Herit - 10/3/2011, 17:58
     
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  8. silvia5190
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    Axel mi ricorda tanto un personaggio di misterious skin, eric, ma il mio preferito rimane indiscutibilmente vic!!!
    E finalmente è arrivato questo bacio!! Ma l'attesa ne è valsa la pena... lo sapevo che vic ci andava fuori di testa!!!
     
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  9. silvia5190
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    Ehi! Ma dov'è il mio continuato della storia?? Non puoi lasciarmi così!!!!:o: :o: :o: :o:
    E' perché devi ancora scriverlo?
     
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  10. Herit
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    4. Gocce di un Passato, che non può più tornare.

    I guess I'm learning (I'm learning learning learning)
    I must be warmer now
    I'll soon be turning (turning turning turning)
    Round the corner now
    Outside the dawn is breaking
    But inside in the dark I'm aching to be free
    The show must go on


    Stava correndo a rotta di collo per la strada.
    Aveva saltato una lezione perché non aveva voglia di incrociare Mark e quindi aveva chiesto a Lizzy di coprirlo dicendo che si era sentito male all'improvviso e che probabilmente avrebbe frequentato solamente i corsi pomeridiani. In realtà lui se ne era scappato al centro. Si era diretto velocemente al negozio di strumenti musicali, tanto i proprietari non avrebbero fiatato. Andava sempre in quel luogo, quando dava buca alle lezioni e lì perdeva sempre la cognizione del tempo.
    Non indossava la divisa, mica scemo. Portava una semplice camicia a mezze maniche lasciata aperta sopra una maglia a maniche lunghe e collo alto. La sciarpa per proteggere la gola dal freddo, così la megera di solfeggio non gli avrebbe rotto le scatole alle lezioni pomeridiane ed a completare tutto ci pensavano i Jeans assieme alle sue beneamate All Stars nere. Il maglione più pesante, invece, era allacciato attorno ai suoi fianchi. Se l'era sfilato nella corsa, visto che quel giorno in particolare aveva deciso di far più caldo del solito, nonostante fosse ormai Novembre inoltrato. Aveva svoltato rapidamente ad un angolo e così facendo, involontariamente, era andato a scontrarsi con una persona.
    “Attento a dove metti i piedi, marmocchio.” Gli sibilò contro un uomo. All'apparenza sembrava un barbone. E puzzava come tale, in effetti. Alto. Barba incolta. Sporco e dai vestiti luridi. Abiti persino troppo leggeri, nonostante quella giornata incredibilmente calda di fine novembre. Victor fece per scusarsi, ma il suo orgoglio parve scattare da solo a discapito del buon senso.
    “'Marmocchio' a chi, pezzente?” Gli ringhiò dietro il violinista. La fregatura di essere cresciuti in una famiglia benestante. Probabilmente il fatto che avesse già una brutta giornata di suo, gli fece saltare i nervi a fior di pelle ancor prima che il cervello potesse reagire coerentemente. Non seppe nemmeno lui perché lo fece, ma fu la mossa più sbagliata che avrebbe potuto compiere. In un attimo si trovò sbattuto contro un muro, in quella via poco trafficata che per lui altro non era che una scorciatoia per tornarsene al conservatorio, piuttosto lontano dal centro.
    “Da come sei vestito... si direbbe che sei un fottuto vizziatello, eh, moccioso?” Incalzò il senza tetto inchiodandogli le braccia contro il muro con una mano solamente, tanto i polsi del giovane erano magri, mentre con l'altra prendeva a tastargli il corpo alla ricerca delle tasche e dei suoi averi. Stradivari cominciò a dimenarsi con foga, scalciando per lo più e volgendo il corpo dalla parte opposta rispetto alla mano dell'uomo per impedirgli di accedere alle tasche posteriori dei pantaloni, dove teneva il portafogli ed il cellulare, assieme alla tessera del conservatorio.
    “Non ho niente con me! Lasciami! Lasciami, maledetto!” Sbraitò prendendo a dimenarsi sempre più vigorosamente, fin quando un suo ginocchio non arrivò a colpire il suo aggressore in mezzo alle gambe. Sogghignò soddisfatto, Victor, vedendolo chinarsi in avanti ed allentare di poco la presa sulle sue braccia, ma si dimostrò completamente inutile, visto che subito dopo gli arrivò un pugno in pieno stomaco, facendo piegare anche lui, fin quando non cadde in ginocchio senza respiro. Era stato forte e tremendamente doloroso, tanto che per un istante aveva temuto gli si fosse spezzata una costola. Si portò una mano all'addome per controllare fosse tutto a posto e quando si rese conto che aveva entrambe le mani libere, con uno sforzo immenso si rimise in piedi. Inutile, visto che il senza tetto lo riagguantò facendolo scontrare nuovamente contro una superficie piana, questa volta a terra.
    “Fottuto ragazzino. Adesso ti insegno io.” Lo minacciò l'uomo tenendolo di nuovo bloccato con una sola mano contro il marciapiedi, mentre l'altra ridiscese velocemente verso il cavallo dei pantaloni del violinista, stringendo con forza e stizza, facendo gemere il ragazzo per il dolore: voleva fargli del male, poco ma sicuro.
    “La... scia... mi...” Scandì Stradivari in un rantolo, senza fiato per via del colpo forte ed improvviso subito al basso ventre, ma quello andò a stringere maggiormente, sogghignando come chi ha appena trovato un nuovo passatempo. Come un carnefice che si diverte a torturare la sua vittima. Come un boia che non aspetta altro che il condannato a morte brandendo la scure nelle mani. Ed ebbe paura, Stradivari. Una paura cieca che presto sarebbe divenuta panico.
    “Che ragazzino vigoroso.” Ironizzò il barbone andandosi a leccare le labbra in un gesto voluttuoso che fece sentire ancora di più a Victor il fetore del suo alito. Ma tra tutti i barboni che poteva trovare, pure quello perverso doveva capitargli? Riprese a ribellarsi, ma i suoi tentativi andarono a morire quando l'uomo andò a serrare nuovamente la propria stretta ed al giovane fu chiaro che quel gesto lo faceva solamente per sé stesso, visto il rigonfiamento che ora veniva evidenziato dalla stoffa dei suoi pantaloni lerci e sgualciti. Fu quando la mano del barbone si infilò dentro i suoi Jeans, che il ragazzo sussultò bruscamente riprendendo a divincolarsi in tutti i modi per cercare di impedirgli di scendere oltre. Aveva paura. Tanta che probabilmente lo fece sragionare quando gli parve di vedere una sagoma nota dietro le spalle del senza tetto. Fu un colpo brusco quello che lo riportò alla realtà e con cui il barbone lo schiacciò nuovamente contro il lastricato del pavimento sul quale lo teneva intrappolato. Ingabbiato. Andò a toccare la sua intimità con foga, come preso da un bisogno impellente, cominciando già a muovere il bacino come un cane in calore.
    “MARK!” Victor gridò quel nome senza nemmeno rendersene conto. Lo fece con tutto i fiato che aveva in corpo. Lo fece d'istinto con le lacrime che già premevano con forza e pizzicavano per uscire. Gli veniva da piangere. Proprio a lui? Ironico. Ironico come quel pugno che andò a colpire con forza il volto dell'uomo che lo stava molestando. Ironico come la sua testa non gli avesse effettivamente giocato un brutto tiro. Ironico come Violin che gli si parava davanti osservando con ira vera e propria la figura del senza tetto che si toccava la mascella per essere sicuro che fosse ancora al suo posto, nonostante l'alone rosso del colpo gli stesse già colorando una guancia. Ironico anche come non si fosse ritratto al tocco del compagno di classe quando gli aveva afferrato un braccio per correre via assieme, scappando da quella viuzza terribile. Ironico come Victor avesse ripreso quella maschera di altero controllo una volta che si furono allontanati abbastanza, nonostante il suo corpo continuasse a tremare in modo spasmodico. Terrorizzato.
    “Vieni.” Imperioso il tono di Mark mentre se lo trascinava dietro, sempre più lontano dalla strada e dal conservatorio. E Victor semplicemente lo seguiva, incapace di resistere a quella mano tiepida e grande che si chiudeva con decisa delicatezza attorno al suo polso. Una sensazione tanto diversa da quella provata solo qualche istante prima.
    “Lasciami.” Acido il tono di quella richiesta, quando il giovane violinista si rese conto di quali sensazioni stesse provando. Di quali ricordi stesse chiamando in causa il suo corpo. Di quali sensazioni avrebbe potuto richiamare il tocco del giovane Violin su di sé. Per tutta risposta, l'altro strinse maggiormente la presa. Non l'avrebbe lasciato andare.

    Erano arrivati ormai ben distante dal centro della città quando all'improvviso l'uomo si infilò all'interno di un edificio. Era un casolare dall'aria fatiscente che minacciava di crollare da un momento all'altro. Un condominio con una serie di appartamenti ridotti tutti uno peggio dell'altro, da quello che Victor poté vedere camminando per i corridoi, seguendo ora più docile il compagno di scuola. Aveva smesso di divincolarsi da un po', quando la mano dell'altro era scivolata a trattenere la sua, lasciandogli più libertà. Alla fine l'aveva salvato da quel molestatore. Dannazione! Era pure in debito con lui, adesso. Aveva lo sguardo basso, però, Stradivari. L'orgoglio e l'alterigia con cui osservava solitamente il mondo erano stati buttati miseramente in un angolino. Feriti e smentiti come se fosse stato un colpo di frusta a farli spezzare.
    Si sentì trascinare all'interno di una delle porte del corridoio all'ultimo piano, scoprendo che non tutti gli appartamenti erano presi male come aveva pensato in un primo momento. Quello dove si trovavano lui e Mark era ben tenuto. Una cucina in stile americano, con un lungo tavolo che serviva anche come piano di lavoro, oltre che luogo dove consumare i propri pasti. Un divano dall'altra parte con un tavolino davanti e due porte che facevano timida mostra di sé confondendosi con il muro. Bianche in quella marea bianca formata dalle onde dei pochi mobili di quel colore asettico eppure luminoso, ai raggi opachi di un sole semi nascosto dalle nuvole.
    Violin si decise a liberare Victor solo una volta che ebbe chiuso la porta alle loro spalle, infilandosi la chiave nella tasca anteriore dei pantaloni, dopo averla girata un paio di volte nella serratura.
    “Perché mi hai salvato?” Il giovane Stradivari si discostò dal compagno di scuola avvicinandosi ad una delle finestre per guardare fuori. Era così diversa quella zona della città, rispetto a quella dove sorgeva il conservatorio. Gli era anche stranamente nota. Probabilmente doveva esserci già stato. Eppure non ricordava in quale occasione. Aveva il tono piatto, seppure lo sguardo risultasse tremendamente abbattuto. Sentiva ancora le mani di quel barbone premergli in mezzo alle gambe. Se Mark non fosse stato lì per aiutarlo... non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto succedere.
    “Perché no?” Ribatté l'altro, sollevando le spalle con noncuranza e ponendo a propria volta un quesito, avvicinandosi nel mentre al frigorifero per tirarne fuori una bottiglia dal contenuto scuro. Aveva l'espressione seria pure lui, nonostante sembrasse farsi bellamente gli affari propri.
    “'Perché no?' 'Perché no?' Mi pare di averti detto chiaro e tondo che ti odio e tu mi salvi?” Sbottò Victor lasciando interdetto l'altro che dovette trattenere la bottiglia sospesa a mezz'aria poco distante dalle labbra per non soffocarsi nel berne il contenuto. Non lo guardava, Stradivari, però. No. Il ragazzo continuava a tenere il viso puntato verso la finestra e gli occhi chiusi con stizza, così come i pugni. Stava scoppiando. Era davvero sul punto di esplodere. Ed il bello era che non riusciva nemmeno a spiegarsi il perché.
    “Mi hai chiamato ed io ti aiutato. Non ero sicuro fossi tu in un primo momento, quella specie di tappeto che si frapponeva tra il vecchio Wallace ed il marciapiedi. Quando hai urlato il mio nome e ne ho avuto la certezza, non ho potuto fare a meno di soccorrerti.” Semplicistica la spiegazione che gli fornì l'uomo, andando a prendere una lunga sorsata i quel liquido ambrato. Parlava con tono quieto e pacato, seppure non si risparmiasse frecciatine gratuite, a differenza dell'altro che pareva irritarsi sempre di più ad ogni sua parola. Era proprio il suo comportamento che non riusciva a capire.
    “Non l'ho fatto volontariamente.” Ringhiò Stradivari voltandosi di scatto verso di lui con espressione rabbiosa. Prese ad avvicinarglisi con lunghe falcate e sollevò velocemente una mano per dare una pacca alla bottiglia che reggeva, tanto forte che gliela fece volare via. Probabilmente solo perché colto alla sprovvista. “Io sì, ma se fosse stato qualcun altro no? E tu, tu potevi comunque fregartene bellamente, no? Dannazione! Non voglio avere debiti con te! Non ne voglio! Mi irriti! Sei un ragazzino spocchioso che si diverte a fare il bello e impossibile perché le ragazzine gli creino uno sciame attorno. Sei l'ultimo arrivato, senza nemmeno un nome, e mi rubi la borsa di studio da sotto il naso. Io con quella ci dovevo pagare la retta del conservatorio... e...” Quando Victor sollevò gli occhi trovò ad osservarlo quelli azzurri e chiarissimi di Violin. Erano talmente chiari che se avesse fatto attenzione sarebbe riuscito a vedercisi riflesso. Ed in quel momento erano terribilmente... tristi? Seri? Freddi? Il giovane non sembrò capirlo ed effettivamente non ne ebbe nemmeno il tempo, visto che il collega l'afferrò per una manica facendolo avanzare di un paio di passi, fino a quando questi non si ritrovò schiacciato tra lui e la porta finestra. Aveva esagerato.
    “Cosa credi che ci abbia fatto io con la borsa di studio? Che l'abbia spesa in spinelli come metà dei ragazzi che hanno vissuto qui? Come qualunque buon musicista che ha bisogno di ispirazione secondo l'immaginazione comune?” Gli domandò in un sibilo basso piazzando le mani sul muro, incatenandolo in una labile prigione tra sé e la parete. Eppure gli lasciava una via di scampo. Victor si trovò a pensare questo nel voltarsi. Via di scampo che però non utilizzò, quando si trovò il viso dell'altro ad un soffio dal proprio. Glaciale. La medesima espressione astiosa che gli aveva visto in volto il giorno del concerto alla Fenice. “E' questo che credi?” Gli domandò conferma Mark piegandosi in avanti, così da essere alla stessa altezza del suo viso e poterlo vedere comodamente negli occhi.
    “Io...” Balbettò senza alcuna convinzione Stradivari scostando lo sguardo altrove in cerca di qualcosa che potesse risvegliare la propria attenzione. Che potesse suggerirgli cosa rispondergli. Dov'era finita la sua sagacia? Il suo avere sempre la risposta pronta? Si chiedeva perché proprio quel Violin avesse la capacità di spiazzarlo completamente.
    “Non sforzarti. Ti rispondo io. Non essendo propriamente un figlio di papà come te, vincere quella borsa di studio è stato l'unico modo per poter entrare al Monteverdi.” Scandì bene quei concetti. Snocciolandoli uno ad uno. Lo fece con tono talmente calmo e talmente basso, che Victor temette quasi che si trattasse di un semplice scherzo della sua immaginazione. Quelle stesse parole ebbero però il potere di accendere di nuovo qualcosa in lui.
    “Io non sono una figlio di papà. Sono figlio di una puttana, dannazione. Sai perché mi hanno tenuto con loro i miei nonni? Sai perché mio padre ha accettato di riconoscermi come suo figlio? Perché sono bravo con il violino. Perché il piccolo Stradivari a cinque anni era già una rarità da mostrare agli amici alle cene di gala. Da esibire come in una mostra di bestie rare. Perché il piccolo Stradivari già a cinque anni poteva portare soldi a casa come un animale da fiera. Perché quella borsa di studio avrebbe sancito il mio distacco completo da quella... famiglia...” Gli aveva urlato contro la sua rabbia. La sua frustrazione erano uscite di getto. Vomitate quasi contro quel viso che le aveva accolte in silenzio, immobile. Impassibile. Meraviglioso nei suoi tratti già adulti. Respirò a fatica il ragazzo, lasciandosi scivolare lungo la parete, fino a trovarsi seduto a terra, con la testa raccolta tra le mani, contro le ginocchia. Non capiva. Non riusciva a capacitarsi del perché a lui avesse detto cose di cui nemmeno Axel era a conoscenza. O che forse il suo amico sapeva eppure taceva. Famiglia. Come poteva definire quella cosa una Famiglia? Era un'agenzia. Con suo nonno a capo. Quell'uomo che, quando lui aveva appena sette anni lo costringeva a studiare a casa quel poco che bastava, perché il resto dell'anno lo passava lontano da essa a fare concerti. Gli era mancato l'avere delle amicizie.
    Non si accorse nemmeno che Violin si era allontanato, scomparendo dietro una delle porte, tanto era preso a riflettere sul proprio passato. Sul proprio star male. Quello che molti bambini della sua età avrebbero desiderato, per lui altro non era che una gabbia dorata. Una gabbia terribile che in parte aveva imparato ad amare. Lui amava la musica e viveva per essa. Lui amava il violino ed era l'unica cosa che ancora lo legava ai suoi parenti. Si sentì afferrare improvvisamente una manica, venendo tirato di nuovo in piedi, mentre ancora una volta il suo compagno di classe lo trascinava da qualche parte. Fu il getto di acqua fredda della doccia a contatto con la testa che lo fece sussultare visibilmente e riprendere.
    “Vuoi ammazzarmi, razza di idiota?” Sbraitò nuovamente e si sorprese nel trovarsi davanti un sorriso leggero e gentile quando si volse verso Mark. Quel sorriso che scomparve in un battito di ciglia lo spiazzò per qualche istante, facendogli dimenticare anche dell'acqua che ormai gli aveva impregnato i vestiti.
    “Datti una lavata e calma i bollenti spiriti. Non so cosa ti abbia fatto quel barbone, ma fossi in te mi rifiuterei di tenere ancora addosso quella roba sporca.” L'invitò Violin uscendo dal bagno in cui aveva infilato l'altro. Victor poté sentire il cigolio dei cardini di un'altra porta che si apriva, probabilmente quella della stanza di fianco. Effettivamente non aveva tutti i torti. Una doccia gli avrebbe fatto bene. Si spogliò lentamente, come svuotato di tutto. Di un rancore inespresso. Di sentimenti che non era mai riuscito ad esprimere a parole. E quando si infilò nuovamente sotto il getto, l'acqua era ormai calda, tanto che carezzò con dolcezza il suo corpo segnato. L'addome gli faceva ancora male. C'era un bel livido a chiazzarlo e stava andando via via a scurirsi. Lì, così come all'interno della coscia, il segno di una stretta troppo forte. E anche sui suoi polsi. Stradivari abbassò piano il capo nel rendersi conto che silenziosamente stava ringraziando Violin di averlo salvato. Nel rendersi conto che poco a poco nell'aria si stava espandendo una melodia leggera, suonata a violino. E che questa proveniva dalla stanza accanto. Nel rendersi conto che amava come quel maledetto suonava il violino, perché aveva qualcosa che a lui mancava. Mark sapeva esprimere le sue emozioni attraverso la musica: lui no. Nel rendersi conto che quello svitato di Axel e quella pazza di Lizzy, forse avevano ragione. Ma che diavolo andava a pensare!? No che non avevano ragione! Si lavò con foga. Voleva che quei segni scomparissero. Non voleva che Violin li vedesse.



    5. Assieme a te, nell'incanto di un Tramonto?! Mai!

    The show must go on, yeah yeah
    Ooh, inside my heart is breaking
    My make-up may be flaking
    But my smile still stays on


    Non seppe definire dopo quanto tempo uscì dal bagno, ma quando lo fece, Victor aveva la testa leggera, come se fosse stato improvvisamente privato di un peso enorme. Aveva addosso soltanto l'accappatoio che aveva trovato in quella stanza priva di qualunque altro ornamento, così come il resto dell'appartamento. Si strinse nelle spalle, appoggiandosi con la schiena contro la porta. Doveva chiedere scusa a Violin. Almeno quello. Solo che non sapeva da dove cominciare. Ci rimuginò sopra per qualche istante prima di affacciarsi sulla soglia che dava accesso all'unica camera da letto in quel posto. Era piccola. Giusto lo spazio necessario per un letto ed un armadio nemmeno troppo grande. Mark stava seduto sul letto. Alcuni spartiti tra le mani. Altri dispersi sopra le basse coltri, trattenuti dalla custodia spessa e robusta del violino. D'istinto si lasciò andare a due colpi di tosse: voleva l'attenzione dell'altro su di sé. L'esigeva e sperava che così facendo l'avrebbe ottenuta. Infatti, qualche istante dopo Violi scattò in piedi, andando a posare i fogli che aveva in mano sopra il materasso, avvicinandosi alla porta della stanza per raggiungere il compagno, incontrandone lo sguardo volutamente altero.
    “Ti senti meglio?” Gli domandò come se la loro discussione precedente non fosse mai avvenuta. Con quel sorriso leggero che per la seconda volta gli illuminava il viso, addolcendone i tratti già maturi. Victor però spostò lo sguardo altrove, facendo un passo indietro per prendere ulteriore distanza dell'altro. Non poteva pensare che fosse bello. Non poteva farlo. Sarebbe stato come ammettere troppe cose in un colpo solo.
    “Era bella la melodia di prima. E' per il compito di Schnielzer?” Chiese poi cercando di allontanarsi da qualsiasi cosa riguardasse il proprio stato fisico ed emotivo. Si trovò di nuovo vicino ad una delle finestre, contro la quale appoggiò il capo.
    “Mh? No, a lui ho consegnato tutto due giorni fa.” Spiegò Mark sollevando le spalle ed appoggiandosi a braccia conserte contro il muro accanto alla finestra, senza staccare nemmeno per un istante il proprio sguardo di ghiaccio dal compagno che gli lanciò un'occhiata stizzita. Lui erano settimane che non riusciva a buttare giù una nota a causa della violenta intrusione de giovane Mark nella sua vita, e l'altro sembrava essere, invece, in pieno fervore creativo.
    “Questo appartamento è tuo?” Gli domandò cambiando palesemente discorso, dando le spalle alla finestra e cominciando a guardarsi attorno. Il locale era talmente spoglio che sembrava che nessuno ci vivesse più da anni. Era talmente bianco ed asettico che ricordava una camera di ospedale, piuttosto che una casa accogliente dove vivere.
    “Più o meno... Siediti, che ti porto dei vestiti puliti.” L'invitò andando a battere un paio di colpi secchi con la mano sullo schienale del divano, prima di allontanarsi verso la camera da letto. Victor seguì la sua figura allontanarsi con la coda dell'occhio, prima di accomodarsi sul sofà, sentendosi sprofondare nel cuscino morbido. Era una bella sensazione, il trovare un appoggio tanto confortevole e d'improvviso si sentì le gambe deboli, mentre veniva investito da una piacevole sensazione di rilassatezza. Probabilmente dopo la doccia e dopo una conversazione tanto leggera, stava cominciando a calmarsi.
    “Cosa vuol dire... 'più o meno'?” Gli domandò andando a raggomitolarsi sul divano come un gatto sonnacchioso. Le braccia incrociate sopra lo schienale morbido e le gambe ripiegate contro il petto. Osservava distrattamente la porta della stanza da letto, senza però guardare nulla, Stradivari. Almeno fino a quando la figura di Violin non fu di nuovo nel suo campo visivo. Allora si soffermò su quella, osservando quegli abiti che portava tra le braccia.
    “E' delle suore dell'orfanotrofio dall'altra parte della strada. Me l'hanno data in prestito quando ho compiuto i diciotto anni.” Gli spiegò asciutto allungandogli gli abiti e mettendosi a sedere sul tavolino antistante il divano su quale si era raggomitolato l'altro. Victor raccolse i vestiti che gli vennero porti e si sollevò nuovamente in piedi studiandoli.
    “E' la tua divisa?- Gli domandò analizzando meglio il tutto. Era ben stirata ed ordinata, tanto che la ripose su un poggia braccio del divano così com'era, impadronendosi per prima cosa dell'intimo. -Orfanotrofio?” Incalzò poi, spinto da un'insolita curiosità. Stava scoprendo di più su Mark in quei pochi minuti, di quanto non avesse imparato in quei tre mesi in cui avevano frequentato la medesima scuola. Ed era piacevole quel senso di pace che si era creato, al di fuori della competitività che si era instaurata tra loro. Annuì in assenso, Violin, alla domanda del compagno di scuola, prima di spostare lo sguardo verso la finestra: da lì si vedeva l'orfanotrofio.
    “Sì. La mia malattia si è manifestata ancor prima che nascessi. Non appena ho visto la luce, sono stato sottoposto ad un intervento ed i miei genitori mi hanno affidato all'ospedale. Presumo che non avessero soldi per le cure mediche. Una delle infermiere conosceva le Suore che mi hanno cresciuto e mi ha affidato a loro.” Spiegò seguitando ad osservare il convento dall'altra parte della strada. Era un edificio comune, dipinto di un bel rosso acceso, così come anche il casolare adiacente. Quello che ospitava i bambini. Li si sentiva urlare, mentre giocavano nel giardino interno, sfruttando le ultime luci del giorno che stava morendo. Qualche volta si riusciva a sentire il suono di un pallone che colpiva l'asta di ferro di una delle porte del campo da calcetto.
    “E non sei stato adottato? Immagino che da bambino fossi molto intelligente e di bel aspetto.” Un commento fatto con leggerezza. Senza pensare prima di dar aria alla bocca. E quando la risposta di Mark arrivò addosso a Victor, si sentì stringere allo stomaco, colpito forse più violentemente del pugno che gli aveva inferto il barbone.
    “Alla gente non piacciono i giocattoli rotti.” Morbida quella voce bassa e leggermente roca con cui aveva parlato l'uomo. Lo sguardo si era spostato dalla finestra ed ara andato a posarsi da prima sul ragazzo ancora seminudo, con addosso solamente le mutande, intento ad infilarsi un corpetto a mezze maniche bianco e poi verso la stanza che aveva davanti, lì dove giaceva il suo violino. Stradivari si voltò verso il collega, facendo scivolare gli occhi sulla sua figura. Sul suo torace. Per un istante gli parve fragile e forte assieme. Segnato già da troppo, pur essendo ancora giovane. E d'istinto andò a toccarsi la spalla destra con la mano opposta in un gesto distratto, che non compiva più da anni.
    “La tua malattia.” Non una domanda, quanto una semplice considerazione quella che si lasciò sfuggire dalle labbra, andando ad afferrare la camicia per indossarla in un gesto spontaneo, sentendosela cadere larga sulle spalle e lunga sulla propria figura. Non si era resoconto del fatto che Mark fosse tanto più grande di lui. Il fisico era asciutto, ma le spalle erano ampie, così come il torace, ora che ci faceva caso. Lo vide annuire, con lo sguardo ancora indirizzato verso la camera colorata di arancio. Stava scendendo il sole, ed era riuscito a perforare solo in quel momento le nuvole che gli avevano creato una coltre attorno.
    “Dovrei essere sotto terra già da un po'. E sicuramente sarei a scaldarmi all'inferno.” C'era dell'asprezza nella sua voce, ben amalgamata con il sarcasmo delle sue parole, tanto che Victor si lasciò scivolare uno sbuffo dalle labbra, più simile ad una risata trattenuta che ad altro, mentre le mani prendevano a far passare i bottoni nelle asole.
    “Addirittura all'inferno? Cosa puoi aver mai fatto di tanto grave?” Domandò con ironia, scuotendo il capo con dissenso ed intercettando solo in quel momento lo sguardo di cristallo dell'altro, sollevato fino ad incrociare il proprio. Esitò per un istante Violin, prima di sospirare pesantemente.
    “Sono omosessuale.” Diretto in quella confessione fatta mentre andava a scostare nuovamente lo sguardo altrove, con noncuranza quasi, come se quanto appena detto non contasse nulla e fosse semplicemente un'informazione in più che aveva fornito. Victor ascoltò in silenzio quelle semplici parole, che per un istante gli pesarono addosso come dei macigni.
    “Anche il mio migliore amico lo è.- Fece spallucce, Victor, richiudendo l'ultimo bottone vicino al collo ed arrotolando le maniche della camicia che penzolavano per una buona dozzina di centimetri oltre le sue mani. Aveva un buon profumo. Lo stesso che ricordava di aver avvertito quel giorno alla Fenice. -E per questo che... in ospedale... ecco..?” Tentennò. Male. Non doveva tentennare. Sarebbe stato come dichiarare di essere rimasto turbato da quel gesto: cosa che effettivamente era avvenuta, ma che non voleva lasciar trapelare. Si diede istintivamente del pezzo d'idiota mentre si avvolgeva la cravatta attorno a collo, cercando di annodarla alla bel e meglio, scoprendosi agitato, in attesa di una risposta che tardava ad arrivare.
    “Più o meno...” Si alzò facendo spallucce, Violin, indirizzandosi verso il tavolo sul quale aveva preparato alcune medicine, probabilmente mentre l'altro si stava lavando. Stradivari aggrottò le sopracciglia seguendolo con lo sguardo per qualche istante, stizzito.
    “Smettila con questi più o meno! O Sì. O No!” Non capì lui stesso perché si stava arrabbiando tanto. Perché cercasse e si aspettasse una risposta. Non capì nemmeno perché ci rimase male quando gli arrivò un “No” secco da parte dell'altro, lasciandolo lì, spiazzato, con le mani a mezz'aria che miravano a risistemare quella benedetta cravatta dal nodo così terribilmente storto.
    “Sono innamorato di te.” Quella dichiarazione uscì talmente spontanea dalle labbra di Mark che Victor per qualche istante pensò che lo stesse prendendo in giro, non fosse per quell'espressione ferma e decisa con la quale il compagno l'osservava. Senza rendersene conto tirò così tanto un lembo della cravatta che rischiò di strozzarsi da solo.
    “Mi stai prendendo in giro. E poi sono etero.” Secco in quelle parole che gli proruppero dirette. Schiette. Violin scoppiò in una risata leggera prima di cominciare ad assumere una serie di pastiglie dalle forme più disparate, così come i loro colori, ingerendole mano a mano con una sorsata d'acqua. Non commentò nulla di quanto detto dal ragazzo, limitandosi ad avvicinarglisi con un sorrisetto che sapeva di malizia.
    “Sì. Può darsi che ti stia prendendo in giro...” Ghignò per buttare giù poi l'ultimo confettino. Andò quindi ad incrociare le braccia al petto, portando gli occhi a scorrere sulla sua figura, soffermandosi sul suo bassoventre con lo sguardo. “Sicuro? Eppure l'erezione che hai avuto in ba...” Non fece a tempo a finir la propria frase che vide Victor scattare come una molla, scuotendo le braccia in aria per farlo tacere, sbraitando frasi incomprensibili. Era tanto ridicolo che Mark rise di nuovo. Aveva una bella risata. Bassa, ma piacevole. Tanto che riuscì a mettere a tacere le lamentele dell'altro che portò il proprio sguardo altrove, mentre lui prendeva a sistemargli la cravatta, esperto. Movimenti lenti, che però sapevano di automaticità, lui che a scuola la cravatta non la portava mai.
    “E' stato solo un caso!” Protestò Stradivari afferrandogli le mani perché stesse fermo, lasciando che sul proprio viso si formasse una smorfia infastidita, non tanto per l'essere toccato dal compagno di scuola, quanto per le sue parole.
    “Certo. Ovvio.” Ribatté prontamente Violi inarcando un sopracciglio, scettico. Ed ironico. Non c'era dubbio: si stava divertendo a prendere per i fondelli il ragazzo che ci cascò con tutti e due i piedi. Scrollò appena le mani, nel frattempo, liberandosi della presa non troppo forte dell'altro e riprendendo il proprio lavoro, una volta che queste si furono allontanate completamente.
    “E' vero! Sono sempre stato solo con ragazze...” Sembrò quasi discolparsi. Trovare una scusa per quell'imbarazzo che sentiva crescere e montare in sé ogni istante di più mentre Violin gli sfiorava forse inconsciamente il torace. Lo fece con maggior vigore soltanto quando ebbe finito di sistemare l'accessorio, andandogli a dare una pacca più decisa su di una spalla.
    “Questo non vuol dire niente. Sarai bisessuale... Anche io sono stato con delle donne, prima di accettarlo, perché non volevo ammetterlo a me stesso. Sono cresciuto in un ambiente cattolico, infondo.” Scrollò le spalle distaccato, quasi quel discorso non lo toccasse più di tanto, seppure di quando in quando un sorriso dispettoso gli incurvasse ruffiano le labbra, tendendone i tratti già maturi e la pelle abbronzata. Si formavano due piccole fossette sulle sue guance quando rideva. Victor se ne rese conto solo in quel momento, visto che aveva il volto dell'altro ad un soffio dal proprio. Si sedette nuovamente sul divano, Violin, senza però lasciare la presa dalla cravatta di Stradivari.
    “No! Impossibile! Escluso! E quello... sarà successo perché ero appena sveglio. Sì, sicuramente.” Blaterò cercando di suonare convincente tanto per sé stesso quanto per l'altro che l'osservava dal basso, ormai, con quel sorrisetto che si faceva poco a poco più convinto. Più divertito. “Tu... mi stai prendendo per il culo?!” Sembrò rendersene conto a pieno solo in quel momento il ragazzo. Tanto che fece un passo verso l'altro, cercando di apparire minaccioso e cascando in pieno in quella che era una trappola bella e buona, dal suo punto di vista. Mark tirò la cravatta con poca forza, ma questa bastò a far avanzare ulteriormente Victor, tanto che si scontrò con la gamba del collega perdendo l'equilibrio e finendogli diritto in braccio emettendo un gemito stupito, probabilmente.
    “Un po', sì.- Ammise divertito Violin circondandolo con le braccia. Braccia solide e stabili, che non sembravano essere intenzionate a cedere quando l'altro, in un primo momento, si ribellò. -Non ti faccio niente. Giuro.” Cercò di rassicurarlo andando semplicemente ad appoggiare il capo contro il torace dell'altro che si immobilizzò in quel gesto, trattenendo per qualche istante il respiro ed abbassando gli occhi fino ad intercettare la capigliatura arruffata e lunga del compagno.
    “Ti odio...- Mormorò senza alcuna convinzione Stradivari, allacciando le braccia attorno al collo dell'altro in un gesto che smentiva a pieno quanto appena affermato e sollevando gli occhi verso una finestra. Finestra che venne sostituita in un secondo dal bianco della pelle del divano quando si rese conto che Mark si era steso, tirandolo giù con sé e lasciandosi usare come materasso. -Lascia..!” Prese ad agitarsi di nuovo, Victor, cercando così di liberarsi della presa dell'altro attorno al proprio corpo, senza un equilibrio in quei movimenti spasmodici. Ma ricadde in un misero buco nell'acqua quando l'uomo lo avvolse con più decisione.
    “Lo so. Che mi odi.” Sospirò e Stradivari avrebbe potuto giurare di aver sentito un rantolo provenire dalla sua cassa toracica. Il suono di qualcosa che sta soffocando e morendo. E tremò. Tremò perché si rese conto che quella malattia per cui l'aveva schernito probabilmente gli faceva più male di quanto non ostentasse. Tremò dandosi della stupido perché quelle braccia che ora lo stringevano si erano allenate per non togliersi nulla, nonostante i problemi del loro proprietario. Tremò perché il calore emanato dal corpo del collega era vero e lo faceva sentire bene, tanto da fagli dimenticare quanto accadutogli nel primo pomeriggio e quel rantolo fioco che aveva sentito. E si sentì male, perché nonostante tutto non era vero che lo odiava. Tutt'altro. Forse addirittura l'ammirava. L'invidiava. E si faceva pena, perché davanti a lui non l'avrebbe mai ammesso.
    “Ehy, Violin... non è vero che i 'giocattoli rotti' non li vuole nessuno.” Non seppe nemmeno lui spiegarsi del perché di quella frase. Del perché gli fosse uscita così direttamente. Distratta e probabilmente sincera. Lo pensava davvero? Non riuscì nemmeno lui a spiegarsi come, ma un dolce torpore l'avvolse in un soffio tanto che le sue palpebre si fecero pesanti e lui si addormentò senza quasi accorgersene, lasciando Violin piacevolmente interdetto. Sorrise il musicista, carezzando con delicatezza la gota del compagno. Un “grazie” regalato al silenzio fu l'unica cosa che riempì in ultima la stanza.




    Nu! >_<
    La storia è finita.. la connessione internet ha fatto schifo, quindi non riuscivo ad aggiornare -.-"
    Per farmi perdonare, ecco due capitoli interi v_V
     
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  11. silvia5190
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    *colpo al cuore*
    No! Il bypass!
    *muore*

    Ora devo scappare ma appena torno lo leggo!! Yeah!
     
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  12. silvia5190
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    Oh, che dolci! Mi piace tantissimo questa scena del divano...
    Meno male che ne hai messi 2 altrimenti non sarei resistita a come finiva il primo!! Sai che il tuo è il primo libro yaoi che leggo che non sia un manga? Che piacevole scoperta! Sono proprio soddisfatta!! :hug:
     
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  13. Herit
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    CITAZIONE (silvia5190 @ 25/3/2011, 20:00) 
    Oh, che dolci! Mi piace tantissimo questa scena del divano...
    Meno male che ne hai messi 2 altrimenti non sarei resistita a come finiva il primo!! Sai che il tuo è il primo libro yaoi che leggo che non sia un manga? Che piacevole scoperta! Sono proprio soddisfatta!! :hug:

    In che senso? ._.
    Avevi già letto qualcosa di mio su efp? o_ò
    (<- è stanca e quindi un po' ottusa) :smoke:
     
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  14. silvia5190
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    No, forse mi sono espressa male io... :gocciolina:
    Intendevo che fin'ora ho letto solo manga yaoi, e che il tuo è il mio primo libro di parole. E siccome sono una lettrice accanita di libri di parole, grazie a te ho scoperto un altro genere di libri da approfondire!! (e un altra occasione per alleggerire il portafoglio!!)
     
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  15. silvia5190
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    AAA Cercasi victor causa crisi di astinenza...
    :unsure: :rolleyes:
     
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18 replies since 26/2/2011, 15:06   230 views
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