10 anni

Kuroshitsuji Ciel-Sebastian

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. 15Nimrodel
        Top   Dislike
     
    .

    User deleted


    Piccola premessa. Questa è la mia prima fanfiction ed è decisamente senza pretese. Considerate che non è stata neppure betata e potete spiegarvi facilmente il motivo per cui non è una meraviglia (comunque neanche il betaggio avrebbe potuto fare miracoli xD)

    Fandom: Kuroshitsuji
    Coppia: Sebastian/Ciel (maggiorenne)
    Rating: Nc17
    Genere: Erotico, Malinconico, Romantico

    Potete trovare la storia qui


    10 anni



    Ciel guardava fuori dalla finestra. Come ogni mattina, come ogni giorno. Ormai passava il tempo così. E così erano trascorsi gli ultimi 10 anni. Il suo parco non era cambiato in niente. Lo stesso viale, lo stesso prato, gli stessi alberi. Tutto era uguale a quando lo aveva visto l’ultima volta prima di partire per Parigi, prima che l’incendio distruggesse tutto. Identico, fino all’ultimo filo d’erba. Era così che lo doveva ricordare, aveva detto il suo maggiordomo. Perfetto e meraviglioso come quando era vivo, come quando la sua anima era ancora sua. Ma Ciel continuava a non capire. Poteva rivedere davanti ai suoi occhi scorrere gli avvenimenti di quell’ultimo giorno. La corsa per arrivare alla villa, il viaggio per Londra, il fuoco, la devastazione, gli orrori. E il dolore della ferita, Sebastian che lo salvava. E poi il combattimento, l’arto del maggiordomo strappato, la caduta. E infine il viaggio in barca, fino all’isola, fino a quello che sarebbe stato il suo ultimo respiro. Ricordava ogni cosa. Sentiva ancora il calore della mano che gli aveva tolto la benda con lievi e fugaci carezze, simili al battito d’ali di una farfalla. Poteva vedere chiaramente il suo sorriso cordiale e meraviglioso tramutarsi in quel ghigno raccapricciante, ma allo stesso modo incredibilmente affascinate e seducente. Non era riuscito a distogliere lo sguardo. Poi tutto era diventato buio e silenzioso. Finalmente la morte lo aveva raggiunto e aveva trovato la pace. Ma niente inganna più dei desideri e delle speranze.

    Dopo quello che gli era sembrato un sonno lungo millenni aveva aperto gli occhi, infastidito da una lama di luce che si irradiava per la stanza, colpendogli il viso. Era sdraiato sul suo enorme letto, ma un silenzio irreale lo avvolgeva. Spaesato e stupito era saltato a sedere sul letto, incredulo del fatto che era ancora lì, vivo, nel pieno dei suoi 12 anni. Il suo maggiordomo era entrato nell’enorme camera da letto e lo aveva salutato come ogni mattina.

    “Sebastian cosa diavolo sta succedendo?” gli aveva chiesto, nella voce un’ombra di tremore dovuto all’incertezza. Il maggiordomo gli aveva risposto senza tanti convenevoli.

    “La sua anima non era pronta. Ed io voglio un’anima perfetta. Ci sono cose che ancora non ha compiuto, e solo se è attaccata al corpo di origine un’anima può apprendere, modificarsi, divenire splendete. E questo è ciò che io voglio. La sua anima mi appartiene. Perciò posso farne ciò che mi aggrada. Lei è vivo per un mio capriccio, e fintanto che la sua anima non sarà come io la desidero, lei continuerà a respirare, crescere, invecchiare ed apprendere. Perciò si rassegni. Ho ricreato la villa per lei. Condurrà un’esistenza uguale a quella che avrebbe condotto se fosse stato in vita.” I suoi occhi si mantennero inespressivi per tutto il discorso, come se le sofferenze che Ciel aveva patito per giungere fino a quel punto non lo riguardassero oltre. Poi si era avvicinato e aveva iniziato a vestirlo per la giornata, come aveva sempre fatto, e come avrebbe continuato a fare.

    Ciel continuava a guardare fuori dalla finestra. Erano trascorsi 10 anni. E ancora era lì ad aspettare. Si sentiva incredibilmente svuotato, come se un’anima già non l’avesse più. In quella villa gigantesca, tutto era surreale. Niente era vero, tutto finzione. Una perfetta pantomima di quello che era stata la sua esistenza. Senza la vendetta a condurre le sue giornate, il tempo scorreva monotono e stagnante. A nulla era servito che a lui e al maggiordomo si fosse unito Tanaka. Una volta morto, Sebastian aveva pensato di portare anche la sua anima in quel luogo desolato, per fare compagnia al suo Bocchan. Ciel ne era stato felice, ma presto anche quella novità aveva perso il suo valore, e il ragazzo era scivolato nuovamente nel suo torpore. Il sole brillava fuori dalla finestra, ma il calore non giungeva dietro a quel vetro dove lui ora si trovava. Tutto era freddo e grigio, niente illuminava il suo cuore. Un tonfo lieve giunse dalla porta, che si aprì poco dopo per lasciar entrare il maggiordomo aggraziato. Portava un vassoio.

    “Il suo tè delle cinque Bocchan”

    Sul vassoio era posta una raffinata teiera di porcellana cesellata, decorata con intricati disegni dorati, una tazza della stessa fattura, e l’immancabile dolce che ogni giorno il maggiordomo gli preparava. Tutto gli sembrava inquietantemente identico, monotono, squallido, grigio.

    “Che vuoi che me ne faccia. Io non lo voglio. Portalo via. E vattene dalla mia vista. Non ti voglio vedere! Sei un essere inutile! Fuori di qui!” gli urlò in preda ad uno scatto d’ira. Come poteva continuare ad infliggergli quella tortura. 10 anni erano passati. Quello era il tempo che aveva trascorso in quella villa aspettando che qualcosa succedesse, aspettando che arrivasse il momento giusto, aspettando che Sebastian si stancasse di quel gioco, aspettando.. ma niente era successo. Tutto era rimasto uguale. Lui era rimasto uguale, la sua anima era rimasta uguale. Anzi. La sua anima si stava sgretolando in quel torpore, in quella nullafacenza. Il suo spirito era solo l’ombra sfocata di ciò che era un tempo. Il maggiordomo lo fissava inespressivo, attendendo una sua parola, un suo gesto. “Che ci fai ancora lì! VATTENE! Prenditi la mia anima e vattene per sempre. Avevamo un contratto. Rispettalo! Mi hai dato la tua parola. Usa quella tua perfetta mano inguantata e strappamela via! Poni fine alla mia esistenza, qui ora! Te lo ordino!”

    Sebastian lo guardò di sottecchi, gli occhi che irradiavano il bagliore demoniaco che ne dichiarava la vera natura “Mi dispiace Bocchan, lei non può darmi più ordini. Il patto è stato rispettato, la sua anima è mia, e io ne sto facendo ciò che ritengo appropriato. Non ha scelta. Si rassegni.” Detto ciò si inchinò poggiando il ginocchio a terra, e portando la mano al petto, come suo consueto. Si alzò, e silenziosamente uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Ciel urlò, fino a finire la voce, fino a consumarsi le corde vocali, fino a svenire.

    Rinvenne dopo un tempo che gli sembrò un secondo lungo un’eternità. Era seduto sulla sua poltrona, nel suo studio. Sebastian si doveva essere occupato di tutto. Aveva avuto la premura di metterlo comodo, ma non di esaudire il suo desiderio. Non aveva nessuna pietà per lui. Faceva semplicemente quello che un bravo, anzi, un eccellente maggiordomo doveva fare. E in quel caso il suo compito era quello di non fa stare scomodo il suo Bocchan. Che altro ci si poteva aspettare dal maggiordomo di casa Phantomhive? Niente di meno, ovviamente. Ma Sebastian non faceva altro. Era semplicemente ligio ai suoi doveri. Ma Ciel non capiva perché dovessero continuare quella recita. Non c’era più una villa da accudire, non c’erano più faccende da sbrigare, nessun padroncino cui ubbidire. Adesso era lui il padrone, e Ciel ne era il servo, imprigionato in quella realtà che assomigliava sempre più ad una casa delle bambole. Quando si era svegliato e si era accorto di essere ancora vivo, la sua giovane mente aveva sperato, desiderato, che il maggiordomo si fosse attaccato a lui, che ricambiasse il suo affetto, che lo amasse persino. Non era necessario che i sentimenti del demone fossero forti come i suoi, gli bastava che riuscisse a provarne, che non lo vedesse come un pezzo di carne, un contenitore, quasi uno scrigno per quel tesoro che lui bramava tanto che era la sua anima. Un rumore sordo arrivò a distoglierlo dai suoi pensieri. La porta si aprì, e silenzioso e aggraziato come sempre entrò il maggiordomo ad annunciare la cena. Era già così tardi. Era tentato di dirgli che non aveva fame, che si sarebbe lasciato morire di fame, ma era conscio che il demone avrebbe fatto in modo che ciò non avvenisse, fintanto che i propri scopi non fossero stati raggiunti. Perciò a che serviva infliggersi ulteriori patimenti?

    “Portami qui la cena, voglio stare da solo” se era come un prigioniero, allora voleva fare come ogni buon carcerato, e consumare il proprio pasto nel grigiore di quella che ormai si poteva considerare la sua cella. Il maggiordomo eseguì i suoi ordini senza fiatare, e poco dopo tornò con il carrello ricolmo di pietanze.

    “Lasciami solo.” Gli ordinò Ciel, e Sebastian uscì dalla stanza dopo aver eseguito il solito inchino con un ghigno divertito sul volto. Rimasto solo, il ragazzo non poté che riflettere su quanto tutte le sue speranze si stessero sgretolando tra le proprie dita, troppo fragili per lottare e riuscire a raggiungere i propri scopi. Ormai era evidente. Persino uno sciocco si sarebbe arreso di fronte alla quotidianità che gli sbatteva in faccia ogni giorno il disinteresse dell’oggetto dei suoi desideri. Sebastian era un demone. Non avrebbe mai potuto provare dei sentimenti per lui. Mai. Doveva rassegnarsi. Erano passati 10 anni. E il comportamento del maggiordomo non era cambiato di una virgola. Niente era cambiato. Soltanto lui era cresciuto. Ma esclusivamente di fisico. La sua anima era la stessa, e per questo era ancora in vita. Se voleva morire, se voleva porre fine a tutto questo, doveva esaudire il desiderio di Sebastian, far si che la propria anima divenisse come lui la voleva. Prese la campanella che aveva sulla scrivania e la scosse leggermente. Un leggero tintinnio metallico si diffuse nella stanza desolata, squarciando il silenzio innaturale che vi albergava. Il suo servitore arrivò dopo pochi secondi. Appena lo vide Ciel lo informò che voleva coricarsi.

    “Bocchan non avete toccato cibo. Non era di vostro gradimento?” Tutta quella deferenza lo infastidiva. Avrebbe preferito che lo torturasse con la frusta, che gli infliggesse i peggiori patimenti fisici che la mente umana potesse immaginare. Quel sorriso, quel fare gentile, lo irritavano e lo facevano soffrire, poiché ormai ben conosceva la realtà dietro quella facciata tanto stupenda e affascinante.

    “Sono stanco. Voglio dormire. Accompagnami alla mia camera” si alzò e seguì il maggiordomo che lo precedeva illuminando il percorso con il candelabro che aveva in mano. Osservava, alle sue spalle, i suoi movimenti eleganti e aggraziati, simili a quelli dei felini che tanto amava. Era così felice che il demone avesse nuovamente entrambe le braccia. Non riusciva a sopportare l’idea che quel corpo tanto meraviglioso potesse rimanere così sfigurato. Ma come gli aveva spiegato, la sua forma corporea nel mondo degli umani, non corrispondeva alla sua vera essenza, e una volta tornato nel mondo cui apparteneva, l’orribile segno dell’affronto subito era stato cancellato, quasi non fosse mai esistito. E di questo Ciel ne era stato immensamente felice, al punto di essere grato della sua natura demoniaca, la stessa che in quel momento lui stava detestando con tutto se stesso. Ma doveva ammettere, almeno con se stesso, che l’odio che provava era solo una flebile copia dell’amore, della venerazione, che gli avevano invaso il cuore. Se non voleva impazzire, almeno questo lo doveva ammettere. Quando arrivarono davanti alla sua stanza, era talmente immerso nei propri pensieri che finì per sbattere contro il maggiordomo, che lo guardò con una chiara aria interrogativa. Non era quello un comportamento proprio dell’ormai non più piccolo erede della casata dei Phantomhive. Lui era sempre presente a se stesso, sempre forte e orgoglioso, mai distratto, mai disattento. Evitando il suo sguardo, lo anticipò ed entrò nella propria camera, dove iniziò a svestirsi con mani rabbiose e tremanti. Il suo servitore sostituì in breve le sue mani con le proprie, gentili e delicate. Lo svestì lentamente e con devozione, come faceva quando era in vita, e come aveva fatto negli ultimi 10 anni. La dolcezza di quelle mani era in totale contrasto con l’agonia che i suoi gesti provocavano nel cuore di Ciel. Calde e dolorose, iniziarono a scendere le lacrime dai suoi stupendi occhi di zaffiro. Non riusciva a fermarle, e in quel momento non voleva. Quelle stupide e insignificanti gocce d’acqua sembravano lavare via, seppur in piccola parte, le sue sofferenze, e niente gli poteva giovare di più in quel momento. Una goccia cadde sulla mano del maggiordomo, che si accorse del tormento del padroncino. Portò un indice sotto il suo mento e lo sollevò. Ciel si trovo a guardare gli occhi di Sebastian che lo scrutavano, e, contrariamente a ciò che si aspettava, non vi trovò segni di scherno o di disprezzo.

    “Bocchan..” fu tutto quello che Ciel gli permise di dire, prima di avventarsi contro il suo petto, prima di afferrare il tessuto della giacca sulla schiena, prima che le lacrime divenissero un impetuoso torrente di montagna, prima che i singhiozzi si impossessassero della sua bella voce.

    “Sebastian perché? Ti prego, ti scongiuro. Fallo. Ora. Prenditi la mia anima. Poni fine alle mie sofferenze. Fai ciò che vuoi. Procurami dolore nella misura che ritieni adeguata, ma ti prego. Non posso più vivere così. Questa mia esistenza non ha senso. Sono peggio che morto. Sono solo. Io non voglio essere solo.” A quel punto le gambe gli cedettero e cadde in ginocchio ai piedi del demone. Singhiozzava, e le lacrime scendevano copiose. Si stava umiliando, ma non gli importava. Si rannicchiò a terra, carponi, nascondendo il viso contro le ginocchia, e pianse come non aveva mai fatto, come non si era mai permesso di fare.

    Due braccia gentili lo sollevarono e lo posarono con delicatezza sul letto. La pesante coperta lo avvolse come l’abbraccio che avrebbe tanto voluto ricevere dal suo demone. Le luci si spensero, e lui continuò a piangere. Singhiozzò finché la voce venne meno, finché non ci furono più lacrime da versare. Esausto, con la bocca impastata, gli occhi gonfi e doloranti, Ciel iniziò lentamente a sprofondare in un sonno di oblio che tanto stava agognando. Era l’unico momento in cui si poteva estraniare dalla realtà, l’unico in cui poteva sognare, e rivivere gli istanti della sua esistenza in cui si era sentito vivo. Prima di perdere completamente i sensi, sentì qualcosa di fresco posarsi sui capelli, spostarglieli, sistemarglieli. Non capiva cosa potesse essere, ma era una sensazione piacevole, che gli procurava conforto, e questo era l’unica cosa che gli importava. Probabilmente stava già sognando. Ne ebbe quasi la certezza, quando udì quella splendida e melodiosa voce che tanto amava, e che conosceva così bene. L’avrebbe riconosciuta anche nel mezzo del salone più affollato. “Presto Bocchan, ma ancora non è il momento. Fidatevi di me..” e con quel suono a cullarlo, cadde in un sonno tanto profondo da sembrare morte.

    “Bocchan, è ora di alzarsi” la meravigliosa voce che la sera prima lo aveva dolcemente cullato nel nonno, adesso, leggermente innervosita, gli stava dicendo di alzarsi.

    “Bocchan, si svegli” gli intimava nuovamente. Ma gli occhi di Ciel non ne volevano sapere di aprirsi, di essere feriti da quella fastidiosa luce. Gli bruciavano ancora per il troppo piangere della sera precedente.

    “Bocchan” di nuovo la voce melodiosa e insistente.

    “Sono sveglio, mi alzo.” Gli rispose in modo scocciato e quasi brusco. Perché il sogno della sera precedente doveva essere così discosto dalla realtà? Perché la sua mente doveva prendersi così tanto gioco dei suoi sentimenti, al punto da causargli sogni che mai si sarebbero potuti realizzare? Si alzò e si fece vestire, come ogni mattina. E come sempre seguì il corso della giornata, scandito dai pasti e dalle apparizioni del maggiordomo. Le ore si susseguirono, e così anche i giorni. Tutto rimaneva uguale. Niente mutava. La rassicurazione che aveva sentito, il prodotto della sua disperazione, era tremendamente lontana dalla verità.

    Un suono sordo alla porta interruppe il corso dei suoi pensieri. Come sempre. Non c’erano altre distrazioni in quel luogo, se non l’arrivo del suo servitore.

    “Avanti, entra pure”

    “Bocchan, ha una visita”

    Grell Sutcliffe entrò al seguito di Sebastian. Un sorriso fugace si dipinse sul volto di Ciel. Quella visita inaspettata giungeva a scuoterlo dal suo torpore. Lo Shinigami non era certo l’essere che più aveva apprezzato nella sua vita precedente, ma in quel contesto era una visita più che gradita. Sapeva benissimo che le rare volte che passava dalla sua residenza era per vedere Sebastian, ma a lui poco importava. L’unica cosa che gli premeva era che tutte quante le volte si fermava a salutarlo, e si intratteneva un po’ con lui. Quelle rare visite consistevano nei suoi unici momenti di svago. Perciò poco importava che Grell fosse uno stupido, o che fosse inappropriato la maggior parte delle volte che parlava. Era comunque una boccata d’aria fresca. E in quel momento, con la disperazione più nera che albergava nel suo cuore, quella visita era più che mai gradita.

    “Grell, che bello vederti. Sebastian, lasciaci soli. Ho voglia di fare due chiacchiere, e qui non ci servi” disse, pronunciando l’ultima frase in modo quasi brusco.

    Lo Shinigami guardò perplesso Ciel, per poi rivolgere l’attenzione al demone che usciva, mettendo su un improbabile broncio, caricatura dell’espressione che avrebbe fatto un bambino cui tolgono le caramelle.

    “Ma comeee. Hai mandato via Sebastian.. e io che vengo qui per lui. È così bello. Lo sai che voglio sedurlo. E tu lo allontaniiiii?” fece lo Shinigami, coreografando le parole con le sue solite movenze esagerate.

    “Non lo voglio tra i piedi. È solo un impiccio. Non vuole onorare il patto.” Rispose, battendo la mano con decisione sulla sua scrivania.

    “È solo questo il problema? Non è che avete fatto le cose sconce e lui è stato brutale? Ah.. già me lo vedo il mio bel demone dimenarsi come un pazzo.. aaaahhhh..” disse lo Shinigami portandosi le mani al volto e facendo versi assurdi. Neanche un bambino avrebbe fatto gesti del genere. Ciel considerò che doveva essere messo veramente male, se riusciva, nonostante tutto, ad apprezzare la sua compagnia.

    “Grell, solo tu riesci a pensare a cose del genere. Non è successo niente tra noi, e dovresti saperlo. Siamo solo padrone e servitore. Tutto qui.”

    Lo Shinigami gli si avvicinò, per guardarlo bene in viso,come per capire cosa veramente gli passasse per la sua testa. E sicuramente notò il lieve rossore che gli imporporava le guance, i suoi occhi del colore delle profondità mare che eludevano il suo sguardo.

    “Beh, mi consola sapere che il mio Sebastianuccio non si è concesso ad altri.. con quel suo copro flessuoso e cesellato.. saprei io che farci. Ah ah.” E dicendo si girò nuovamente verso di lui, per controllarne la reazione. Ciel si irrigidì a quelle parole, seppure avesse cercato di mantenere un contegno il più naturale possibile. Non gli era stato proprio possibile celare la sua rabbia, il suo disgusto all’idea che le mani di un altro toccassero quel corpo che tanto bramava, dalla pelle liscia come seta, e candida come neve. Quante volte lui aveva immaginato di poterlo sfiorare, di poterlo baciare. Infinite probabilmente. Quel sentimento, quel desiderio, quella passione, erano cresciute con lui. L’attaccamento che provava per il demone quando era piccolo, in quei 10 anni si era trasformato, divenendo un sentimento ben più maturo e consapevole. E questo lo faceva soffrire ancor di più, perché alla pena di quella vita immobile, si aggiungeva quella dell’indifferenza del maggiordomo. Sentiva su di se gli occhi di Grell, ma in quel momento si comportava come il peggiore dei codardi. Non riusciva ad alzare lo sguardo. Lo Shinigami aveva colpito dove più faceva male, e lui era rimasto come paralizzato in una morsa di ghiaccio, senza respiro. Non riusciva a fare niente, non riusciva a dire niente. Lo Shinigami probabilmente se ne accorse, perché gli si fece vicino, standogli alle spalle, posando quasi la sua testa sulla sua spalla.

    “A quanto pare non sono l’unico che viene rifiutato..” affermò con voce canzonatoria. Ciel si girò di scatto, arretrando al contempo di un passo per mettere una distanza di sicurezza tra se stesso e Grell, ma più che altro per allontanarsi dalle parole che lo Shinigami aveva pronunciato. Lui si era sempre sentito ignorato, mai respinto. Quelle parole avevano scavato un profondo solco nel suo animo, un abisso senza fondo. Neanche si era accorto della maschera di puro terrore che gli si era dipinta sul volto, delle labbra che si erano aperte quasi a voler emettere un muto grido di disperazione.

    “Ah ah, ma che sorpresa. A quanto pare non vuoi solo il suo corpo.. ma che peccato, stavo per offrirmi come sostituto. Ah ah. Ma se cambi idea. Magari sfogare i tuoi ormoni giovanili ti farebbe bene, non credi? E poi ora che sei cresciuto sei diventato così carino.. niente a confronto del mio adorato demone, ma gradirei molto poter fare sesso con te..” gli si avvicinò con le sue solite movenze esagerate, le braccia che dondolavano verso l’altro e il basso. Ciel era rimasto sbigottito. Tutta quella conversazione lo aveva travolto come una valanga, e ancora stentava ad avere il controllo del proprio corpo e della propria mente. Così quando Grell gli si avvicinò non si mosse, e lo Shinigami ne approfittò per poter leccare la sua serica guancia.

    “Sai proprio di buono, piccolo Phantomhive.. pensaci e fammi sapere. Sono sempre disponibile a fare certe cose con un corpicino attraente come il tuo.. ah ah”

    Solo quando lo Shinigami chiuse la porta dietro di sé Ciel si accorse di essere solo. Lo sentì urlare il nome di Sebastian per il corridoio, e non poté trattenere le gambe dal seguire quell’essere rosso. Solo quando la mano si posò sulla maniglia si rese conto di ciò che stava facendo e si fermò. Già, cosa voleva fare? Sebastian non lo degnava di uno sguardo. E probabilmente, alla luce della conversazione appena avuta, non perché ignorasse i suoi sentimenti, o perché fosse un demone incapace di provare sentimenti, ma solo perché non lo considerava abbastanza. Forse era questo che lui intendeva quando diceva che la sua anima non era ancora pronta? Che si riferisse al fatto che non fosse ancora maturo? Al fatto che non fosse un uomo? Oppure, proprio perché era solo un essere umano, non sarebbe mai stato all’altezza del demone centenario? Quelle domande gli affliggevano l’animo. Era come trovarsi dentro una vergine di ferro, i cui aghi si fossero già conficcati nelle carni. Faceva male, faceva terribilmente male. Niente a confronto della sofferenza inflitta dall’apatia o dalla solitudine. Questo era di gran lunga peggiore. L’unico essere che lui amava, desiderava e venerava, probabilmente lo considerava meno di niente.

    I giorni passarono. Niente cambiava, e tutto restava uguale. Sebastian lo trattava con la solita deferenza, e Ciel diveniva ogni giorno più indisposto verso il comportamento del maggiordomo, che nonostante i toni altezzosi del padroncino, e le risposte avvelenate che spesso riceveva, continuava a comportarsi in modo impeccabile. Ciel non riusciva a scuotersi da quello stato di disperazione profonda, così come non riusciva ad ottenere da Sebastian altro che risposte educate, e gesti cortesi. Tutto in lui urlava formalità, e la formalità denunciava la distanza che c’era tra i due.

    I giorni continuarono a passare, e divennero settimane, poi mesi. Ciel continuava a guardare fuori dalla finestra, come aveva fatto negli ultimi 10 anni. Sebastian continuava ad essere il suo perfetto maggiordomo. Lo svegliava, lo vestiva, lo accompagnava per la villa, gli serviva il pasto, gli portava il tè, gli serviva la cena, lo svestiva per andare a letto, lo copriva, gli dava la buonanotte. Questo e nient’altro. Nessun sorriso, nessuna carezza, nessuna parola dolce. Eppure una volta gli aveva sorriso. Quella sera, a Parigi, prima di lasciarlo, gli aveva sorriso, gli aveva sorriso davvero, e quello per lui era stato un tesoro prezioso, che aveva custodito nel suo animo per anni. Per 10 lunghissimi anni.

    Quella notte, la sua mente crudele, gli fece rivivere esattamente quei momenti. Sebastian sulla porta, con il candelabro, che gli sorrideva e gli diceva di dimenticare. Ma Ciel non rimaneva imbambolato questa volta, si alzava dal letto, gli correva incontro, lo abbracciava, lo baciava, e gli diceva di non lasciarlo da solo, di restare lì con lui. Perché in fondo sapeva che se lo avesse lasciato uscire da quella stanza probabilmente non lo avrebbe rivisto..

    “Bocchan è ora di alzarsi” eccola di nuovo quella voce splendida che come tutte le mattine veniva a svegliarlo. Era la stessa voce che fino ad un secondo prima, ansimava arrochita di desiderio nel suo sogno. Era stato così vivido che aveva creduto fosse reale. La delusione lo avvolse come un abbraccio soffocante. Si alzò controvoglia dal letto, senza parlare, senza guardare il maggiordomo. Si mise in piedi di fianco al letto, in attesa che il servitore facesse il suo lavoro. Le mani di Sebastian non si fecero attendere, e agili gli sfilarono la camicia da notte, mettendo in mostra la sua evidente erezione, conseguenza dei capricci della sua fantasia. Sebastian se ne sarebbe certo accorto. A lui non sfuggiva mai niente. Ciel alzò di scatto lo sguardo, per vedere la reazione di scherno che sicuramente avrebbe avuto il maggiordomo. Si divertiva sempre a enfatizzare le sue debolezze, a rimarcare quanto fosse umano. Ma sul volto del servitore non apparve niente. C’era solamente la solita espressione, la solita maschera di cordialità. Perché? Perché non gli diceva niente. Era diventato così poco importante per lui? Non si prendeva neanche più la fatica di schernirlo? E allora perché continuare tutto questo? Che senso avrebbe avuto..

    Forse per la rabbia, forse per la tristezza, forse per l’eccitazione dovuta alla notte ancora passata che gli faceva ribollire il sangue, Ciel alzò una mano e portò l’indice sulle labbra di Sebastian. Tremante per l’insicurezza, ne saggiò la consistenza, facendo scorrere il polpastrello lungo il profilo del labbro inferiore. Erano incredibilmente morbide e soffici, calde e lisce. Non aveva mai toccato in vita sua niente che potesse avvicinarsi a tanta perfezione. Quel semplice contatto aveva scatenato in lui il desiderio impellente di avere di più, di prendere di più. Fece un leggero movimento in avanti, annuncio di un passo che lo avrebbe portato più vicino a quel corpo che così intensamente desiderava.

    “Bocchan, Tanaka ha già preparato la colazione. È meglio che si sbrighi, o renderà inutile il suo lavoro” le parole pronunciate dal demone ebbero l’effetto di una doccia ghiacciata. Rimase con la mano alzata mentre Sebastian si allontanava per prendere i vestiti che avrebbe indossato quel giorno. Il polpastrello sembrava bruciargli dolorosamente nel punto in cui fino a poco prima c’era stato il labbro del maggiordomo, come ad urlare il dolore della propria perdita. Ciel abbassò il braccio, abbassò lo sguardo e attese pazientemente che Sebastian facesse il suo lavoro. Il suo orgoglio giaceva stracciato ai suoi piedi. Il suo amore era stato spazzato via dall’indifferenza delle parole pronunciate dal demone. Quando ebbe finito, Sebastian si avviò verso la porta, seguito subito dietro da Ciel, che si muoveva ormai quasi come una marionetta priva di una propria volontà. Il maggiordomo aprì la porta.

    “Sebastian, sei in grado di contattare Grell?” chiese tutto d’un fiato al maggiordomo.

    “Certo Bocchan. Se lo desidera.”

    “Allora contattalo immediatamente, e digli di venire oggi stesso. Devo parlargli. Non c’è bisogno che perdi tempo ad accompagnarmi alla sala da pranzo, conosco la strada. Fai ciò che ti ho chiesto” e sorpassò deciso il demone incamminandosi per la propria strada. Ormai aveva deciso. Avrebbe scelto da solo il proprio destino.

    Ciel guardava fuori dalla finestra del suo studio. Come aveva fatto negli ultimi 10 anni. Ma quel giorno le cose sarebbero finalmente cambiate. Lui era un Phantomhive. Avrebbe ripreso in mano le redini della sua vita, almeno per quel che gli era consentito. Ormai aveva deciso. A sua disposizione aveva un’unica pedina, ma l’avrebbe sfruttata al meglio, su questo ormai non c’erano dubbi. Aveva capito che non avrebbe mai potuto avere Sebastian. Non c’era al mondo essere o cosa che fosse così fuori dalla sua portata. Non lo avrebbe mai avuto. Il demone non lo voleva. I discorsi erano chiusi. Pertanto era inutile incaponirsi in quel sentimento sterile. Sarebbe andato avanti, avrebbe seguito una strada tracciata dalle sue mani, dalla sua mente, non più dal suo cuore. La porta si spalancò senza tanti convenevoli. A quanto pare non era l’unico che aveva fretta di iniziare.

    “Allora signorino, perché mi hai fatto chiamare con tanta urgenza?” gli chiese lo Shinigami appena entrato. Sulla sua faccia era dipinta un’espressione quasi scocciata e annoiata. Possibile che davvero non ci fosse arrivato?

    “Accetto la tua offerta” disse Ciel senza preamboli o mezzi termini. Alla fine, non c’era bisogno di girarci attorno. Non con un essere come Grell.

    “Lo sapevo, lo sapevo che non avresti potuto resistere al mio bel corpicinooo..” disse avvicinandosi a lui con passi armoniosi ma al contempo ridicoli. Ciel si domandava ancora come un semidio potesse essere al contempo tanto aggraziato quanto stupido. Grell gli si fece vicino, e non appena fu a portata del suo volto allungò le labbra per poterle appoggiare alle sue.

    Ciel lo allontanò istintivamente. Non poteva baciarlo. Non voleva baciarlo. La dolcezza di un bacio l’avrebbe concessa solo ad una persona, e quella non era al momento presente nella stanza. Voleva un atto fisico, voleva soddisfazione. Nessuna smanceria, nessuna premura.

    “Che ti salta in mente. Mi hai offerto il tuo corpo, e quello ho accettato. Non voglio altro. Solo due corpi che si soddisfano a vicenda. Quindi vedi di evitare carinerie e modi gentili. Non è ciò che voglio, né ciò che mi hai offerto e che io ho accettato. Ne so abbastanza sul sesso, non c’è bisogno che mi spieghi. Di informazioni ne ho avute a sufficienza quando ero in vita. Perciò non ho bisogno di un maestro, solo di un corpo su cui sperimentare. Ora vedi di chiudere quella bocca e di metterti al lavoro. Non credo di doverti dire cosa fare.” Ciel disse ogni singola parola con voce secca e ferma. Lo Shinigami doveva capire. Doveva essere sicuro che capisse. Lui non lo voleva, non lo desiderava. E come avrebbe potuto, se il termine di paragone era Sebastian? Il perfetto e sensuale Sebastian? Ma aveva bisogno di un corpo e lui si era offerto. Perciò non c’era motivo di tirarsi indietro. Lui era umano, quella era un’esperienza umana, non faceva niente di male o di sbagliato.

    Vide che il volto dello Shinigami si coprì di un’impalpabile maschera di sdegno all’udire le sue parole. Probabilmente aveva offeso il suo orgoglio. Un essere umano che tratta con tale distacco un semidio. E poi Grell era talmente vanitoso.. Ma a quanto pare l’indignazione non era sufficiente a fermarlo, poiché si inginocchiò davanti a Ciel, e si mise subito a trafficare con i suoi pantaloni. In breve lo ebbe liberato da quegli inutili strati di stoffa per liberare la sua virilità ormai sveglia. Tutto quell’agitarsi di mani aveva causato a Ciel una certa eccitazione, e adesso il risultato era ben visibile di fronte al volto dello Shinigami.

    “Oh dio. Ma guarda un po’ quanto siamo cresciuti.. son un dio veramente fortunato” disse Grell portandosi le mani al volto, e mostrando i denti appuntiti in un sorriso di trionfo.

    “Vuoi continuare a guardare il mio pene per tutto il giorno o intendi farci qualcosa di utile?” gli chiese Ciel con voce fredda ma atona. Stava prendendo le distanze da tutto questo. La sua mente non aveva ragione di entrare a far parte di quell’affare, tantomeno il suo cuore.

    Con soddisfazione sentì le labbra di Grell che lo avvolgevano. Poco gli importava se in quel momento a procurargli piacere non fosse Sebastian. Trascurabile il fatto che lo Shinigami emettesse assurdi gemiti. Stava provando piacere. Stava sperimentando sensazioni umane. Era ancora veramente vivo. Dopo 10 anni, aveva la prova che era ancora vivo. Adesso non importava più se Sebastian lo teneva incatenato in quel buco di realtà. Lui aveva trovato il modo per costruirsi la sua di realtà. Una realtà che in quel momento gli stava abilmente succhiando il pene. E a lui andava bene così.

    Abbassò gli occhi, per potersi godere lo spettacolo dello Shinigami piegato ai suoi ordini, ma un battito anomalo del cuore denunciò la sua delusione quando vide la massa rossa dei capelli di Grell. Per qualche stupido e assurdo motivo, aveva creduto di trovarci la massa serica e corvina del suo maggiordomo. Lo aveva desiderato, ci aveva sperato. E adesso il cuore faceva male. I suoi battiti rimbombavano sordi nelle orecchie, la testa gli pulsava, gli occhi gli bruciavano. Si stava solo prendendo in giro. Lo sapeva. La aveva saputo fin dal primo momento. Ma cosa importava. Non aveva più un’anima, non aveva nessuno. Se non importava a lui, non sarebbe importato ad altri. Doveva annullare il suo dolore. Doveva mettere a tacere la sua ragione.

    Allungò una mano, che andò ad artigliarsi sotto il braccio di Grell. Lo strattonò, costringendolo ad alzarsi, e lo gettò in malo modo contro la scrivania, mettendo in mostra il suo sedere. Senza tanti convenevoli abbassò gli indumenti dello Shinigami, esponendo le sue natiche bianche e sode.

    “Aaahhhh, siamo diventati impazienti. Merito del mio trattamento e del mio splendido corpicino scommetto, vero piccolo Phantomhive?” disse Grell agitandosi come una donnetta sotto di lui.

    Ciel non lo ascoltava. Quello per lui era un corpo, niente di più. Solo un pezzo di carne. Esattamente come Sebastian considerava lui. Un pezzo di carne adatto a contenere la sua tanto preziosa anima. Gli avrebbe fatto vedere cosa faceva un pezzo di carne del suo tempo. Gli avrebbe mostrato chi ancora aveva il controllo delle proprie decisioni e azioni.

    Lo penetrò senza preamboli, senza esitazioni, in un’unica violenta spinta. Non si fermò per farlo abituare, non gli domandò se provava dolore. Lo prese per i fianchi e iniziò a spingere. Lo Shinigami non aveva dato segni di sofferenza, anzi, sembrava apprezzare il trattamento che gli stava riservando. Ma a lui non importava. Era concentrato sulle sensazioni che stava sperimentando, e che a poco a poco sembravano attutire tutte le altre percezioni provenienti dalla sua anima. Più spingeva e meno la sua testa sembrava essere capace di ragionare. Più andava veloce e meno si facevano sentire i sussulti del suo cuore e il dolore della sua anima. Il piacere stava soffocando il suo rifiuto ad amare l’essere sotto di sé. Già, non lo amava, e come avrebbe potuto? Se non della sua anima, certamente il maggiordomo era già in possesso del suo cuore. Ma in quello che stava facendo in quel momento l’amore non c’entrava. In fin dei conti anche Sebastian una volta si era servito del sesso per avere informazioni da quella ragazza in quel convento. Perciò, perché lui non poteva usare il sesso per sentirsi vivo? Per non sentirsi solo?

    “Ah, oh, si si.. ma che bravo Ciel. Continua, continua..” lo Shinigami continuava a dimenarsi sotto di lui, e a lanciare gridolini striduli. Le sue braccia si agitavano in movimenti assurdi. Era ridicolo anche in quel frangente. Ma questo non lo avrebbe certamente fermato. Dentro di lui era stretto e caldo, e tanto bastava. Perciò serrò le mani intorno ai suoi fianchi e spinse più forte, più veloce, più in profondità. Fino ad annullarsi, fino a perdersi, fino a venire dentro quel corpo che non era il suo.

    E il dolore lo assalì. Non c’era più il piacere a farlo tacere. Adesso il disgusto di se stesso lo stava assalendo. Si diffondeva nel suo corpo come le acque di un fiume impetuoso troppo a lungo trattenute da una diga ormai distrutta. Si sfilò in fretta da quel corpo ormai inutile. Non gli serviva oltre, voleva stare da solo. Solo con se stesso. Solo con la propria anima.

    “Vattene adesso. Se avrò bisogno di nuovo ti farò chiamare da Seba-.. dal mio maggiordomo” non riuscì a pronunciare il suo nome. Non si sentiva degno in quel momento. Non voleva sporcarlo facendolo uscire dalle sue labbra.

    “Ma comeee? Non ci divertiamo un altro po’? Conosco tanti di quei giochetti.. son sicuro che neanche Sebastian ne sa quanto me, e..”

    “FUORI DI QUI!!!” non tollerava che quell’essere immondo parlasse così del suo amato. Come poteva pronunciare il suo nome con tanta disinvoltura dopo quello che avevano fatto? Loro erano i demoni. Avevano venduto la loro anima per un misero istante di piacere fisico. Lo aveva deciso razionalmente, e accettava le conseguenze. Ma era chiaro che da adesso non sarebbe più stato degno di pronunciare il suo nome, di guardarlo, di amarlo. E neanche Grell poteva permettersi di insozzarlo standogli vicino.

    “Esci da qui, e non tornarci finché non sarai convocato. Vattene e lasciami solo.”

    Sentì la porta chiudersi alle sue spalle. Lo Shinigami se ne era finalmente andato. Aveva protestato e fatto facce assurde che dichiaravano tutta la sua disapprovazione per quel suo comportamento. Si era lamentato con suoni inconsulti e gridolini esagerati, ma poi lo aveva lasciato solo. Ciel sapeva che quell’essere non ne aveva colpa. L’unico responsabile era lui. Non poteva prendersela con nessun altro che non fosse se stesso. Il trattamento che aveva riservato a Grell era del tutto ingiustificato. Lui era il mostro. Lui si era illuso di poter risolvere così tutti i suoi problemi. Lui aveva sbagliato. Lui aveva tradito se stesso e i sentimenti che provava. Lui aveva distrutto la sua anima. Pianse in silenzio, seduto sulla poltrona del suo studio. Non poteva fermare le lacrime che scendevano copiose, ma poteva arginare i singhiozzi. Non aveva diritto si trovare sollievo e conforto nel pianto. Lui era l’unico responsabile. Doveva accettare le conseguenze della sua scelta.

    Erano passati 10 anni da quando il maggiordomo avrebbe dovuto strappargli l’anima. 10 anni da quando sarebbe dovuto morire. E adesso aveva ucciso da solo la sua anima. Guardava fuori dalla finestra, come aveva sempre fatto, come aveva fatto anche quella mattina. Ma niente era più come prima. Aveva tradito se stesso, e, più di tutto, aveva tradito il sentimento che provava per il suo demone. Ormai non riusciva neanche più a pronunciare il suo nome nei pensieri. Erano passate un paio d’ore da quell’incontro con Grell. Ormai il pianto si era esaurito, e aveva lasciato alle sue spalle tutto il dolore, tutta la sofferenza. Niente era più come prima. Tutto era infinitamente più doloroso.

    Un tonfo sordo alla porta. Come sempre era puntualissimo. Era venuto a portargli il tè. Sicuramente ci sarebbe stato anche l’immancabile dolce. Come sempre. Cosa poteva fare. Non credeva di poter riuscire a guardarlo negli occhi. Non dopo così poco tempo. Probabilmente non sarebbe riuscito a fissare neanche il proprio riflesso nello specchio. Ma forse non sarebbe mai più riuscito a guardarlo come prima. Si sentiva troppo sporco..

    “Bocchan le ho portato..”

    Le parole del maggiordomo si interruppero improvvisamente, seguite da un forte clangore metallico, e dal rumore di qualcosa di fragile e delicato che si rompeva. Non ebbe il tempo di verificare cosa fosse, che una mano lo afferrò saldamente per il braccio, stringendo fino a fargli male, e lo costrinse a voltarsi. Si trovò di fronte a quegli occhi che tanto amava e che non aveva la forza di guardare. In quel momento erano rossi come tizzoni di lava, e sembravano trafiggergli l’anima. Abbassò lo sguardo, incapace di reggere oltre quello del demone.

    “CHE COSA HAI FATTO! COME HAI POTUTO! MANCAVA COSÍ POCO! HAI ROVINATO TUTTO!”

    Ciel sentiva la voce del maggiordomo penetrargli nelle orecchie. Faceva male. Faceva dannatamente male. Stava urlando con lui. Gli dava del tu. Non capiva. Cosa stava succedendo. Si sentiva scuotere, e rimaneva inerme, come un marionetta tra le mani di un bambino capriccioso. Non sapeva che fare, non sapeva che dire. Non capiva.

    “I-Io..” provò a dire.

    “Tu cosa!? Come hai potuto far questo alla tua anima. Eri quasi pronto. Finalmente, dopo secoli. Come hai potuto farci questo?”

    Nella voce del maggiordomo c’era un’innaturale vena di tristezza e disperazione. Che stava succedendo. Non capiva. Perché si comportava così? A lui non era mai importato niente della sua vita. Voleva solo la sua anima. E poi perché usava quel plurale? Aveva così irrimediabilmente danneggiato la sua anima che il demone non la voleva più? Possibile? Ma non era forse meglio per lui acquisire un’anima corrotta? In fin dei conti era pur sempre un demone. Avrebbe dovuto capire. E poi che c’entravano i secoli? Erano passati 10 anni. Tanti per un essere umano, niente per uno immortale. Non capiva. Non c’era modo che capisse. Alzò gli occhi per cercare le risposte in quelli del maggiordomo, e quello che vide lo sconvolse. Nei suoi occhi c’era solo tristezza. Infinita, inimmaginabile, eterna.

    “Vattene. Torna al tuo mondo. Riprenditi la tua vita e la tua anima. Il patto è rotto. Non mi vedrai mai più. Non voglio vederti mai più. Percorri il viale di accesso alla villa, e una volta varcato il cancello di ingresso ti troverai di nuovo a Londra.”

    Gli lasciò andare improvvisamente le braccia, e il sangue, trattenuto dalla sua ferrea stretta, riprese a scorrergli dolorosamente negli arti. Il maggiordomo era già sulla porta. Se ne stava andando. Lo stava lasciando solo. Ciel continuava a non capire. Perché? Perché aveva reagito a quel modo? Perché lo stava lasciando andare? Era addirittura arrivato a rompere il patto.. non capiva..

    Sentiva i suoi passi allontanarsi per il corridoio. I resti del servizio da tè giacevano davanti alla porta, sparsi sul pavimento. Il liquido si era sparso, lambendo i bordi affilati della porcellana, giungendo fino all’immancabile dolce, ormai deforme e contorto, inzuppandolo e traviandone la sua originale natura. Era forse quello ciò che era successo alla sua anima? Era forse così devastantemente e irrimediabilmente danneggiata? Per questo il demone non la voleva più? Poteva capirlo.. chi mai avrebbe voluto adesso quel servizio da tè? Per quanto potesse esser raffinato ed elegante, adesso era ridotto ad una manciata di affilati cocci inutilizzabili. E quel dolce che prima era stato tanto delizioso, adesso era inzuppato dal tè, e incastonato da minuscoli frammenti appuntiti. Chi mai lo avrebbe mangiato? Chi mai avrebbe voluto la sua anima?

    I passi erano spariti, il silenzio lo avvolgeva. Il panico lo assalì. Il demone lo aveva abbandonato. Adesso era veramente solo. Aveva paura. Si mise a correre senza pensare, alla ricerca di lui. Lo doveva trovare, gli doveva chiedere spiegazioni. Doveva capire.

    Lo cercò ovunque, correndo a perdifiato senza mai fermarsi. Non era in cucina, non era in sala da pranzo, non era in biblioteca, non era in cantina, non era in lavanderia, non era nel suo alloggio, non era nel parco, non era sul tetto. Gli era rimasto un solo posto da controllare, ma dubitava fortemente di trovarlo lì.

    Aprì la porta della propria camera, e lo vide seduto sul suo letto, che accarezzava il copriletto. Rimase sulla soglia della porta, sorpreso da quella vista. Non capiva.

    “Perché?” gli chiese. Non riusciva a dire altro, non riusciva a pensare ad altro.

    “Ciel, sai cos’è un demone?”

    Il maggiordomo stava in silenzio sul suo letto, accarezzando col dorso della mano il copriletto, aspettando una sua risposta che non arrivò.

    “Un demone è un angelo caduto. Ogni volta che un angelo compie un atto malvagio, il suo destino è l’esilio. Ma non è quella la sua punizione..”

    Ciel non capiva. Cosa poteva entrarci tutto questo? Cosa voleva dire? Attese immobile che continuasse.

    “La punizione che lo attende è terribile, ma al tempo stesso inevitabile.. la sua anima viene divisa. La parte pura viene separata da quella impura, così che non venga corrotta. Ma non parlo di una divisione metaforica, bensì fisica. La parte impura resta immortale, e mantiene la memoria di ciò che ha fatto, delle conseguenze delle proprie azioni. Questa è la sua pena e la sua condanna. Ma la sofferenza maggiore deriva dal fatto di non essere completa. Questa è la condizione cui io sono destinato. Per l’eternità. Fintanto che non avrò trovato l’altra parte della mia anima, la parte pura, la mia salvezza.. e questo è il problema. La parte pura viene mondata dei suoi ricordi, e destinata ad una vita mortale. Le sue sofferenze, i suoi patimenti, sono diversi da quelli cui è destinato un demone. È destinata a reincarnarsi, di corpo in corpo, privata della memoria di ciò che è stata, e della consapevolezza di ciò che è. Attende inconsapevole che l’altra metà la riconosca e la salvi. Questo è il suo destino. Ogni sua vita è connotata da enormi sofferenze. Capisci adesso?” il maggiordomo si voltò finalmente a guardarlo negli occhi, il dolore stampato sul suo volto “Ho sentito il tuo richiamo. Quando ti hanno imprigionato e torturato. Io ho sentito la tua voce e l’ho riconosciuta subito. Sono corso da te. Non potevo fare altrimenti. Dopo millenni ti avevo finalmente ritrovato.. ma eri solo un bambino, ancora troppo piccolo e immaturo per capire. Perciò ti sono restato accanto. Dovevi crescere, dovevi maturare, dovevi essere pronto. Ma oggi sono arrivato tardi..”

    Il cuore di Ciel perdeva battiti ad ogni parola che udiva. La sua anima si sgretolava per la sofferenza ad ogni sguardo al volto del demone. Cosa aveva fatto? Come aveva potuto provocare un tale dolore a quell’essere che tanto amava? Ma continuava a non capire.

    “Non è tardi. Io sono ancora qui. Qui per te. Dimmi cosa devo fare. Lo farò. Qualsiasi cosa. Io ti appartengo. Lo sai. La mia anima è già tua!”

    “Non capisci.. tu non puoi capire. Non basta ritrovarsi. Altrimenti noi due già saremmo una cosa sola. C’è bisogno di un’altra condizione. E ormai credo che sia tardi.. c’è bisogno del perdono. E il perdono consiste nell’accettazione dell’altro. Consiste nell’amare l’altro. Io ti amo, non potrei fare altrimenti. Sei la parte migliore di me. Come potrei non amarti?”

    Ciel continuava a non capire. Se lui l’amava, allora qual’era il problema? Lui provava quei sentimenti per il demone da sempre. Aveva sofferto perché credeva di non essere corrisposto, di essere ignorato. Ma adesso.. tutto era diverso. Lui lo amava. E allora perché continuava a vedere quell’espressione tanto triste e dolorosa sul suo volto?

    Corse verso di lui e si gettò ai suoi piedi. Nascose il proprio volto tra le gambe dell’altro e disperato iniziò a piangere.

    “Io ti amo, TI AMOOO.. possibile che non te ne sia accorto? Ho sofferto credendo di non essere ricambiato, ho dato il mio corpo ad un altro per cercare di dimenticarti, di soffocare il dolore che provavo. Non ha funzionato, sono stato peggio di prima. Perché io amo te e nessun altro. La mia vita è tua, la mia anima è tua. Fanne ciò che vuoi. Dimmi cosa devo fare e lo farò. Non voglio che tu soffra. Non voglio che tu debba soffrire oltre. Fai di me ciò che vuoi. Io sono tuo, lo sono sempre stato..” le parole gli morirono tra i singhiozzi. Cosa aveva fatto. Come aveva potuto infliggergli ulteriori dolori e sofferenze. Una mano leggera e gentile scese ad accarezzargli i capelli.

    “Non sai per quanto tempo ti ho cercato. Ho persino dubitato che esistessi ancora. L’averti trovato mi ha dato speranza. Speranza che prima o poi ci rincontreremo, e allora, forse, sarai pronto per innamorarti di me. Io ti aspetterò. Non piangere più. Tu non ti ricorderai di me, ma io conserverò il ricordo di questi giorni. Per sempre se fosse necessario. Un giorno saremo di nuovo una cosa sola. Ora calmati.”

    Ciel si sentì sollevare dalle braccia del demone e posare delicatamente sul letto. Quella scena gli ricordava incredibilmente quella notte in cui si era addormentato piangendo. Anche in quel momento stava versando copiose lacrime amare.

    “Io ti amo, ti amo.. perché mi hai ignorato? Io ti amavo. Volevo starti vicino. Tu mi evitavi. Ho cercato di fartelo capire. Anche stamani. Mi hai rifiutato.. e io.. sono stato stupido. Ho cercato un sostituto. Ma ho capito che non posso. Io amo te. Solo te. Mi sono ingannato, ho cercato di nascondere anche a me stesso quanto ti amavo. Non volevo soffrire. Non volevo essere rifiutato..”

    “Tu mi desideravi. Ecco perché mi sono allontanato. Mi dovevi amare. È normale che tu mi desideri, sono un demone. La mia natura fa sì che io affascini chi mi sta intorno. Ma tu dovevi andare oltre. Ecco perché ti stavo lontano. Speravo che non vedendomi, avendo il tempo per riflettere, magari ti saresti accorto di provare qualcosa per me.. magari saresti andato oltre le apparenze. Ho sofferto a starti lontano. Dopo millenni ti avevo ritrovato, e non desideravo altro che stari vicino, poterti ammirare.. ma se volevo che ci ricongiungessimo per l’eternità, non potevo, dovevo lasciarti i tuoi spazi. Lo dovevi capire da solo, se potevi amarmi. Non potevo far altro che aspettare. E continuerò ad aspettare, per cui adesso dormi. Ci sarà tempo poi per parlare.”

    La dolcezza del demone in quel momento era disarmante. Ciel si sentiva sempre più sprofondare nel dolore. Come poteva essere così buono con lui? Forse si era sbagliato. Forse la parte impura era racchiusa nel suo corpo, mentre quella pura si trovava nel corpo di Sebastian? Non voleva dormire, voleva scusarsi, voleva accettare la sua punizione, voleva alleviare le pene del suo amore. Gli gettò le braccia al collo, nascondendo il volto nell’incavo della sua spalla, emettendo forti singhiozzi carichi di disperazione e dolore.

    “Sebastian, Sebastian, io ti amo.. perdonami. Fammi soffrire. Voglio provare il tuo dolore. Se siamo una cosa sola, fammi stare male come stai male tu. Voglio capire. Voglio aiutarti.. ti pregooo” la richiesta si spense in un singhiozzo avvolto da lacrime.

    Le braccia di Sebastian avvolsero la sua schiena, carezzandola lievemente, cercando di dargli conforto. Era come stare sotto un rilassante getto di acqua calda dopo un’intensa giornata di lavoro. Ogni volta che la sua mano passava sulla sua schiena, i singhiozzi diminuivano, il dolore si affievoliva.

    “Non ti farei mai del male volontariamente. Non chiedermi più una cosa simile. Non riuscirei mai a farlo. Ora dormi ne hai bisogno.” Sentì le mani di Sebastian raggiungere le proprie e sciogliere l’abbraccio che li teneva legati. Si fece docilmente allontanare da quella spalla così calda, seguendo le istruzioni silenziose che quelle mani gli stavano impartendo. Ma quando poté finalmente vedere il suo volto si sentì morire. I suoi occhi d’onice erano incredibilmente tristi, le sopracciglia leggermente inclinate verso l’alto a corrugare quella fronte cesellata. Ma sulla sua bocca era dipinto un sorriso meraviglioso, carico di comprensione e conforto. Senza pensare, Ciel forzò la presa di Sebastian e si gettò su quelle labbra, per cercare anche lui di portargli conforto come poteva.

    “Ciel..” sentì pronunciare il suo nome mentre l’altro si allontanava. Le lacrime gli salirono nuovamente agli occhi.

    “Sebastian ti amo.. ti prego, non mi rifiutare, amami..” disse abbassando lo sguardo per paura di ciò che avrebbe potuto leggere negli occhi dell’altro.

    Sentì una mano fresca sulla sua guancia, e poi due labbra gentili che si posavano sulle sue. Spalancò gli occhi per la sorpresa, e si abbandonò senza riserve contro quel corpo che tanto amava. Dischiuse le labbra per dargli libero accesso. Le loro lingue si trovarono, iniziando ad accarezzarsi lievemente, provocando sensazioni simili a quello del tocco di una piuma. Non c’era lussuria, non c’era desiderio passionale. Solo amore e devozione. Ciel teneva le mani sulla nuca di Sebastian, immerse nei suoi serici capelli, per paura che l’altro decidesse di allontanarsi. Era come avere le mani dentro una nuvola. Erano al contempo impalpabili e soffici, lisci e vellutati. Le mani dell’altro intanto distribuivano tocchi lievi e gentili sul suo viso. I suoi polpastrelli vagavano sul suo volto, come a volerne memorizzare i lineamenti. Riconosceva quel tocco. Era identico a quello che gli aveva riservato quando gli aveva tolto la benda. Erano passati 10 anni da quel giorno. Ma adesso erano insieme. Finalmente. Le labbra si sfioravano. Le mani carezzavano il viso dell’altro. Ma non bastava. Erano ancora troppo lontani. Divisi. Ciel voleva che diventassero una cosa sola. Se le loro anime ancora erano divise, allora si sarebbero uniti i loro corpi. Non per il desiderio, non per la lussuria, ma perché era giusto così. Perché si amavano, e non c’era altra scelta che vivere a pieno quell’amore tanto profondo e travolgente.

    Le sue mani scesero lievi sul petto di Sebastian, fino a giungere ai bottoni della giacca, che iniziò a sganciare con dita tremanti per l’insicurezza. Sentì i polsi bloccati dalla morsa del suo demone, le labbra dolorosamente sole, dopo che l’altro si era allontanato per poterlo vedere in volto. Non ci fu bisogno di parole. Si guardarono solamente. Ciel si avvicinò nuovamente a lui, ricongiungendo nuovamente le loro labbra, come era giusto che fosse. Il messaggio che gli aveva mandato era chiaro. Quello non era sesso. Quello era amore.

    Lentamente, strato dopo strato, i due si spogliarono. Fino a trovarsi nudi, uno di fronte a l’altro. Ciel sedeva in mezzo alle gambe di Sebastian, le proprie gambe intorno al bacino dell’altro. Non si baciavano. Si guardavano e si sfioravano appena. Le dita che correvano gioiose sul corpo dell’altro. Gli occhi azzurri dell’uno incatenati a quelli d’onice dell’altro. Nessuna parola. Solo sguardi e carezze. Occhi che sorridevano, labbra che sorridevano, mani felici. E poi si abbracciarono. La testa di Ciel nuovamente nell’incavo della spalla di Sebastian. La testa di Sebastian sulla spalla di Ciel. Stettero così, semplicemente abbracciati, con le mani dell’uno che carezzavano dolcemente la schiena dell’altro. Non avevano bisogno d’altro. Tra le braccia racchiudevano tutto ciò di cui mai avrebbero avuto bisogno per essere felici e completi. E poi ripresero a baciarsi. Le lingue che nuovamente si incontravano felici, tracciando il contorno delle labbra dell’altro. Poi le bocche presero il posto delle mani, ed esplorarono l’una il corpo dell’altro in venerazione, depositando baci devoti ovunque passassero. E poi il respiro di Ciel si fece più pesante, perché per quanto il loro amore fosse puro e spirituale, la carne chiedeva il suo tributo. Sebastian se ne accorse, e lo fece adagiare sulla schiena. La sua mano destra, quella che una volta gli era stata strappata, quella su cui era stato impresso il marchio del loro legame, si congiunse a quella di Ciel. Le dita si carezzavano vicendevolmente, mentre Ciel sentiva le labbra e la lingua di Sebastian vagare per il suo corpo. Ben presto i sospiri si tramutarono in gemiti. Ciel non voleva, non poteva desiderare Sebastian. Doveva dimostrargli il suo amore. Cercò di fermarlo. Di bloccargli la testa con la mano che ancora era libera, ma lui gli imprigionò anche quella.

    “Sebastian, fe-fermo. Ti prego. Non resisto. Io-io ti devo dimostrare che ti amo. Non voglio..” le parole furono risucchiate dall’ennesimo gemito. Non ce la faceva più a resistere. Stava per perdersi completamente, e non voleva.

    “Ma questo è amore..” gli disse il suo amato demone, prima di dedicare le sue attenzioni alla sua erezione.

    Non capiva cosa stesse succedendo. Era una sensazione meravigliosa e impalpabile, intensa e fragile al contempo. La lingua di Sebastian era calda e premurosa. Lo accarezzava amorevolmente, prestando cure alla sua pelle bisognosa di attenzioni. Poi le sue labbra sostituirono la lingua e Ciel si perse in quel vortice di sensazioni. Era come stare in paradiso. Ma era ancor solo.

    “Sebastian. Ti prego. Fai l’amore con me. Insieme..”

    Il demone salì alle sue labbra e vi depositò un bacio carico di amore e adorazione. Sciolse una delle sue mani dall’abbraccio con quella di Ciel e salì a carezzargli i lunghi capelli, guardandolo dolcemente negli occhi.

    “Potrebbe farti male. Io non voglio..”

    “Non importa” lo interruppe Ciel “sopporterò. Come tu hai sopportato per tutti questi anni. Amami completamente. Ti prego”

    Sebastian entrò piano in lui, cercando di farlo abituare alla sua presenza, ed infine fermandosi. Rimasero così. Occhi negli occhi, i loro corpi finalmente uniti in un’unica entità. E si accarezzavano dolcemente, si baciavano, si sorridevano.

    Poi Sebastian iniziò a muoversi lentamente. Ogni spinta portava Ciel verso il suo paradiso personale. Il dolore scompariva, le cicatrici dell’anima si dissolvevano, il cuore batteva felice come le ali di una farfalla in primavera. Si sorridevano, si baciavano, si accarezzavano. E i respiri divenivano pesanti. I gemiti uscivano incontrollati dalle loro gole. Le loro voci che si sussurravano frasi d’amore ormai erano arrochite dal piacere.

    E le spinte divennero più veloci, più forti, più profonde. E ogni affondo di Sebastian toccava l’anima di Ciel, trascinandolo in un vortice di piacere e felicità. Ma non era solo. Con lui c’era il suo amore. Quello che ormai sapeva essere l’altra metà della sua anima. Niente li avrebbe divisi, non l’avrebbe più permesso. Le sue braccia circondarono il collo di Sebastian, le sue labbra cercarono quelle dell’altro, per un bacio che dichiarava il suo amore meglio di qualsiasi altra parola.

    Il piacere divenne intenso e travolgente, finché tutto intorno a loro sparì. Rimasero solo loro due abbracciati, gli occhi negli occhi, la felicità che li travolgeva. E poi tutto fu chiaro. Il dolore provato da Sebastian, la felicità di quando erano una cosa sola, l’amore che l’altro provava per lui e la gioia di essersi ritrovati..

    Poi fu di nuovo lì nella sua stanza, consapevole di ciò che era stato.

    “Sebastian, ma io.. noi..” non riusciva a crederci. Non poteva essere. La sua testa faticava a ragionare. Aveva così tante domande, così tanto da recuperare..

    “Si. È così. Ma adesso riposati. Abbiamo l’eternità per stare insieme.”

    “Già, l’eternità..” e si addormentò abbracciato all’altra metà di se stesso, col sorriso sulle labbra e la felicità nel cuore data dalla consapevolezza che non si sarebbero mai più divisi.

    Fine.


    Se siete riuscite ad arrivare fino qui mi piacerebbe sapere cosa ne pensate ^-^
     
    .
  2. marikita
        Top   Dislike
     
    .

    User deleted


    Davvero fantastica,ti posso solo lodare,senza contare che adoro i due personaggi,ma la storia posso solo dire che è fantastica...se ne fai altre sarei molto felice di leggerle... :damo20100874.gif:
     
    .
  3. Fusilla-chan
        Top   Dislike
     
    .

    User deleted


    Ho preferito dare il mio commento sicuramente più completo direttamente su Efp, dato che sono iscritta anche li :damo20100852.gif: quindi trovi la recensione con il nick Fusilla (senza chan) l'ho appena inviata se ti fa piacere vai a leggerla! :damo20100874.gif:
     
    .
  4. pezzo
        Top   Dislike
     
    .

    User deleted


    io l'ho letta solo adesso, e mi pento tantissimo di non averlo fatto prima : è un racconto meraviglioso! :cw9.gif:
    Mi sono totalmente immersa in quelle parole, mi ha fatto dimenticare dove mi trovo tanto è bello <3

    Anche se arrivo in ritardo, Grazie per aver condiviso la tua storia :j4n.gif:
     
    .
3 replies since 26/7/2011, 13:13   121 views
  Share  
.
Top
Top